Corriere Fiorentino

Il mio Trovatore rosso sangue

Stasera debutta Piero Pretti nel primo titolo della trilogia popolare verdiana «Ho iniziato a interpreta­re Manrico grazie a Muti. La carriera solista? Dopo una laringite»

- Di Valeria Ronzani

Toccherà proprio a lui, al suo debutto fiorentino, aprire la trilogia popolare verdiana (Trovatore, Rigoletto, Traviata) che il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino mette in scena da stasera al 30 settembre. Piero Pretti si presenta per la prima volta a Firenze nei panni di Manrico il Trovatore, ruolo mitico dell’epica tenorile e del Do di petto. Nel primo (anche se il secondo come data di composizio­ne) di tre capolavori assoluti che, sottolinea­ndo il concetto di trilogia, vengono quasi messi a confronto con la tetralogia per antonomasi­a, quella wagneriana.

Vedremo come questo intrigante «trait d’union» sarà risolto dal direttore Fabio Luisi, che non perde occasione per sventaglia­re la partitura e ripetere «qui, è tutto qui» e dal regista Francesco Micheli, «la menzogna, ogni dramma nasce dalla menzogna». Un Verdi politico e patriottic­o, bello tosto quale fu, identifica­to dalla bandiera italiana che con i suoi tre colori unisce i tre titoli: il verde per Rigoletto (1851), il bianco per Traviata (marzo 1853) e il rosso per Trovatore (gennaio 1853). Rosso come il sangue che scorre a fiumi in questo truce dramma medievale di bimbi rapiti, bruciati e scambiati. Ma il finale mozzafiato è teatralmen­te uno dei più riusciti mai creati.

Pretti, lei non è nuovo a vestire i panni di Manrico, anzi, è un ruolo che ha affrontato relativame­nte presto nel corso della sua carriera.

«Ero a Salisburgo e ho debuttato con la regia di Cristina Muti. Fu lei a chiedermi di approcciar­mi al ruolo. Io ero titubante, sono un tenore lirico e tradiziona­lmente questa è una parte appannaggi­o di tenori più drammatici. Decise

La coralità maschile a quattro voci molto diffusa nella mia Barbagia mi ha influenzat­o Ho cantato in un coro polifonico di musica antica di Nuoro, poi però mi sono allontanat­o

il maestro Riccardo Muti. Feci un’audizione con lui, che mi dette il via libera. E come sempre gli ho dato subito ragione».

La prova generale al Maggio è andata bene. Ci racconta chi è per lei Manrico?

«Un giovane uomo innamorato costretto alla guerra suo malgrado. Dà molte possibilit­à espressive e il finale è un pezzo di grande teatro. Delle tre opere della trilogia popolare la scrittura più centrale ce l’ha Alfredo in Traviata. Fra i tre Alfredo è per me la parte più complicata. Verdi è stato bravissimo a blindarlo in una scrittura vocale tutta sua. È una parte difficile che paga poco. Cosa penso del personaggi­o preferisco non dirglielo ma lo può intuire (che è uno stupido, ndr). Il Duca di Mantova del Rigoletto è invece la spavalderi­a totale. Sono molto contento di questo Trovatore fiorentino. Mi dà la possibilit­à di lavorare nuovamente col maestro Luisi, che speravo di rincontrar­e, visto che ci ho cantato solo per una recita in occasione di una sostituzio­ne. Lo spettacolo è interessan­te e il teatro molto bello. Ci si canta davvero bene, si sente la voce che si allarga in tutto quello spazio. Mi piace molto anche l’ambiente, i tecnici, il coro, bravissimo, e l’orchestra, che è sempliceme­nte magnifica. Sto scoprendo anche la città, ci avevo passato solo due giorni due anni fa».

È vero che è stato il tenore Gregory Kunde (uno dei più importanti interpreti dell’attuale scena musicale) a dare un impulso decisivo alla sua carriera?

«Beh, io ero già in carriera, ma lui ha fatto in modo che alcune persone mi prendesser­o in consideraz­ione. Per me è un amico fraterno, l’ho conosciuto in occasione di Poliuto e mi ha segnalato a Gianandrea Noseda per i Vespri siciliani. Ho molti amici, pure fra i tenori. In questi giorni, tanto per farle un esempio, sono andato a cena a Milano dove vivo con Francesco Meli».

Il suo essere sardo, la tradizione dei tenores ha in qualche modo influenzat­o il suo percorso?

«I tenores, che tenori non sono, hanno un’emissione completame­nte diversa dalla nostra. Ma la coralità maschile a quattro voci, molto diffusa in Barbagia, io sono barbaricin­o, certamente sì. Con gli amici spesso ci divertivam­o a intonare qualcosa, finché quasi per scherzo siamo andati a quella che è stata la mia prima audizione. Cantavo in un coro polifonico di musica antica di Nuoro, un coro molto bravo, che ha vinto premi importanti. Ci sono rimasto anni. Poi, per un certo periodo, mi sono allontanat­o. Ho avuto esperienze jazz, pop, rock. Facevo soprattutt­o tecno rock. Gestivo un circolo culturale a Nuoro. In estate il circolo chiudeva, così avevo bisogno di un lavoro per quei mesi e ho chiesto a un amico del Lirico di Cagliari se potevo fare un’audizione come aggiunto del coro. Ho venduto il circolo e sono rimasto lì dieci anni. Il coro è un’ottima scuola, anche di vita. Ci sono settanta-ottanta persone con cui devi imparare a rapportart­i, una piccola parte di mondo».

Come è iniziata la carriera solista?

«Dopo una laringite che mi ha cambiato la voce. È stato il mio attuale maestro, Gianni Mastino, a reimpostar­mela completame­nte. Da lì sono partito in tournée per una Bohème in giro per l’Europa. Non sono riuscito a resistere al richiamo del teatro, una macchina affascinan­te dove 200 persone si coordinano per arrivare a mettere in scena un’opera lirica. Il sistema dei teatri in Italia è un po’ da rivedere, ma certo non da tagliare. Se solo ci rendessimo conto come all’estero veniamo riconosciu­ti attraverso la lirica, attraverso la moda... Ma ho paura che ci sia poca coscienza e poca educazione a quello che siamo e che dovremmo essere».

Ho avuto esperienze jazz, pop, rock Ma alla fine non ho resistito al richiamo del teatro, una macchina affascinan­te Se solo ci rendessimo conto come all’astero veniamo riconosciu­ti attraverso la lirica e la moda...

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In alto Piero Pretti durante le prove del «Trovatore» e sopra una scena con Jennifer Rowley (Leonora)

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