Con Paolo Masi dentro la storia delle Murate
Dodici installazioni site specific dell’artista fiorentino tra celle e spazi pubblici
La voglia di rimettersi in gioco sempre, reinventandosi e senza mollare mai. Il fiorentino Paolo Masi è un ragazzo di 85 anni, uno dei più importanti protagonisti della scena artistica contemporanea da decenni. Gli spazi dell’ex carcere delle Murate che avrebbero dovuto ospitare una sua retrospettiva gli hanno ispirato altre storie, così lui, una volta visti quegli incredibili ambienti, ha cambiato le carte in tavola. È un po’ dispiaciuta la curatrice Valentina Gensini. «Volevo esporre dei fantastici inediti degli anni ‘70», sospira, ma si lascia facilmente convincere dal ragionamento di Masi, «qui non siamo né in un museo né in una galleria». Ma in un luogo che ha saputo reinventarsi al meglio nel segno della creatività e della produzione. Un recupero bellissimo capace di creare una vera comunità con i residenti. Ecco quindi da oggi al 3 novembre la mostra Paolo Masi. Qui, a invadere con 12 installazioni site specific pensate proprio per questi spazi, 12 monumentali opere nuove, ideate e costruite da Masi con il consueto rigore, a rievocarci un luogo di memoria e costrizioni corporali, scelte nel caso delle monache di clausura, forzate per i carcerati. «Questo è un carcere moderno — continua Valentina Gensini che è direttore artistico de Le Murate Arte contemporanea — nato nell’800 dove, a seguito delle teorie del positivismo, si voleva creare un luogo anche di rieducazione, di riabilitazione». Masi nel suo percorso, che tocca l’intero edificio, ha inteso evidenziare proprio la duplice natura, occupando tre celle al terzo piano con installazioni di materiali duri, pesanti, un’atmosfera più cupa, meno luminosa rispetto alla trascendenza ascetica delle tre celle del primo piano. Da un lato la meditazione spirituale del convento, dall’altro il peso di vite ai margini. Muri che parlano, «le pareti in pietra — spiega Masi — hanno evidente il passaggio delle tante presenze fra monache e prigionieri». Coerente alla pulizia formale della propria ricerca, ci immerge in una memoria pregressa grazie all’uso sapiente della polaroid. Si succedono in sequenza scatti rubati a quegli ambienti da un lato e dall’altro il bianco e nero dell’Arno, perché esiste un progetto dedicato proprio al fiume. «Un fiume che ora soffre di solitudine» ci racconta Masi, che ricorda come nella sua infanzia il fiume brulicasse di vita, dalle lavandaie, ai pescatori, fino al ranocchiaio. Con loro ragazzi che facevano ogni giorno a sassate. Gli spazi pubblici sono toccati dall’intervento sulla fontana in piazza Madonna della neve e dal grande specchio circolare sul pavimento del Semiottagono, creando una vertigine di camminamenti ascensionali capaci di replicarsi all’infinito. Quasi mistico.