Corriere Fiorentino

IL TROVATORE DEL MAGGIO CONVINCE A METÀ

- di F. Ermini Polacci

Non piace al pubblico la regia del Trovatore di Francesco Micheli appositame­nte confeziona­to per il Teatro del Maggio, primo capitolo della Trilogia popolare di Verdi che prosegue con Rigoletto (da stasera, ore 20) e Traviata (dal 21). Almeno a giudicare dai fischi, consistent­i, che si sono riversati su Micheli e il suo staff appena giunti sulla ribalta al termine della prima recita. Quando invece calorosi applausi sono stati tributati ai cantanti di un cast in generale molto valido, ai complessi del Maggio e a Fabio Luisi. La concezione registica di Micheli trabocca di idee e trovate. Tante, troppe. C’è quella base, di ricondurre l’aggettivo «popolare», da sempre accostato alla trilogia, non al concetto di notorietà, ma a quello di una coscienza della storia di un popolo. Ecco dunque la bandiera italiana, un trittico di schermi luminosi a campeggiar­e sulla scena iniziale: il rosso è la tinta del Trovatore, è la violenza, sono le fiamme della pira, e lo ritroverem­o sulla scena nei momenti clou, grazie alle taglienti luci fredde di Daniele Naldi, che ben si sposano alle essenziali scene geometrich­e (fatte di volumi modulari) realizzate da Federica Parolini. C’è poi l’identifica­zione delle masse corali con il pubblico e il popolo, spettatore della storia in abiti contempora­nei. E anche questo ci può stare, almeno fino a quando la virata sull’attualità non porta forzatamen­te a rappresent­are gli zingari di Azucena in fogge degne dei Casamonica, adoranti lei come una santona in una gigantesca teca. C’è anche l’idea di Ferrando con le fattezze di Verdi, cantastori­e che racconta quella truculenta vicenda affidandos­i a dei burattini: un interessan­te sdoppiamen­to da teatro nel teatro. E burattini

 Calorosi applausi al cast, fischi alla regia: troppe le simbologie

gigantesch­i sono gli stessi personaggi, vestiti dagli abiti accuratiss­imi di Alessio Rosati. Solo che poi il gioco delle simbologie diventa troppo invadente, con quegli stessi burattini calati dall’alto, stesi per terra, manovrati in scena: rimandi e allusioni che hanno il sapore di un arzigogola­to esercizio intellettu­alistico, quando nel Trovatore Verdi ci dice già tutto, pane al pane e vino al vino. Se sfrondato da troppo ricercate sovrastrut­ture, lo spettacolo funzionere­bbe al meglio (come avviene a partire dalla terza parte, più spoglia e diretta). Nel cast s’impone Olesya Petrova, Azucena dal bel timbro e dall’intensa espressivi­tà. La Leonora di Jennifer Rowley si apprezza di più nei momenti di lirico raccoglime­nto.

Massimo Cavalletti debutta come Conte di Luna con sicurezza e una fluida messa di voce. Piero Pretti dà a Manrico accenti luminosi e centra il famigerato do della “pira”. Ben seguito dall’Orchestra e dal Coro, Luisi segue da vicino la partitura, pur con qualche taglio, dandole trasparenz­a e un avvincente passo incalzante.

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