CERCARE SOLUZIONI, TRA URLA E SILENZI
Uno dei motivi della sconfitta della coalizione a guida Pd è senza dubbio il tema «sicurezza». È un dato di fatto. La domanda che chi ha governato per 5 anni si deve fare è: perché una questione così urgente è diventata un terreno così ostico. Cosa fare adesso? Possiamo usare il buonsenso, oppure iniziare ad urlare più forte degli altri e magari ribadire le stesse cose o, ancora, arroccarsi più a sinistra. Non c’è una soluzione immediata, però alcune cose vanno chiarite soprattutto in vista delle prossime elezioni amministrative. È sul tema sicurezza che si giocherà la partita.
I numeri di una ricerca dell’Istituto Cattaneo dicono molto. I cittadini italiani sono quelli che in Europa hanno la percezione più distorta dell’immigrazione: ben il 73 per cento della popolazione sovrastima le presenze. E siamo anche tra i più ostili al fenomeno. La percentuale di immigrati non-Ue realmente presenti in Italia è pari al 7 per cento e quella percepita è del 25 per cento. Un abisso separa la realtà dalla percezione ed è qui che sta parte della risposta sul perché chi ha governato per cinque anni è stato sconfitto sul tema «sicurezza». Urlare all’invasione, promettere il blocco navale, i rimpatri forzati, linea dura e filo spinato evidentemente premia. Ma è un dovere politico e sociale dire la verità, il buonsenso deve prevalere sempre e credo sia utile anche approfondire il perché centinaia di persone rischiano la vita per arrivare Italia.
Inseguire chi urla e sbraita sarebbe un errore ancora più grande. Per due motivi: sono più bravi gli altri a farlo e hanno già monopolizzato questa fascia elettorale, aiutato anche molto dai palinsesti televisivi. Noi dobbiamo stare dalla parte della realtà, non inseguire idee che si trasformano in ideologie.
Siamo stati sconfitti sul tema «sicurezza» perché a sinistra per decenni questo tema è stato visto in contrasto con la difesa degli ultimi e dei più deboli. Su questo il Pd deve essere più chiaro, sia riformista e non torni indietro. Sulla «certezza della pena» non abbiamo fatto abbastanza. Nella vita delle persone «normali», leggere, sentire, provare personalmente che reati «minori» non hanno colpevole o il colpevole non viene punito porta a percepire una chiara e netta «insicurezza». Se leggi sulle cronache che chi spaccia e viene arrestato viene rilasciato il giorno dopo, se ascolti che chi aggredisce una persona in divisa viene rilasciato il giorno stesso, se ti dicono che chi ti ha rubato la bicicletta rischia poco o niente la logica ti porta ad arrabbiarti, a sentirti insicuro, arrabbiato con chi governa e non reagisce, pronto a votare chiunque preveda soluzioni.
La certezza reale della pena, per reati che saranno anche minori ma ti fanno sentire impotente, è fondamentale. È fondamentale per i cittadini che in molti casi neppure fanno più denuncia e per le forze dell’ordine avvilite di rincorrere, arrestare per poi dover rilasciare gli arrestati il giorno stesso o dopo un giorno in camera di sicurezza nella caserma.
La stessa logica dovrebbe servire per il tema dei Cie, i centri di identificazione ed espulsione varati dall’allora Ministro Napolitano nel 1998, adesso rinominati Cpr. Sono passati venti anni e in Toscana non si sono mai voluti fare, paragonandoli anche a lager. Così si continua a dare a cittadini stranieri, senza possibilità di asilo, di lavoro e di regolarizzazione, il «foglio di via». Che faranno mai nella loro vita queste persone? Sempre sul tema sicurezza porto anche un esempio che ho seguito direttamente. Partendo dal fatto che la droga in tutti i suoi formati e modelli è entrata a scuola, che il 40 per cento dei ragazzi ha provato almeno una sostanza illecita, che la scuola è di fatto diventata la nuova piazza dello spaccio, abbiamo creato un progetto che si basava su tre pilastri: formazione degli insegnanti, interventi educativi dentro le scuole anche insieme a medici e associazioni, presenza fuori da scuola di uomini in divisa e cani antidroga che su richiesta del dirigente scolastico potevano entrare anche dentro l’edificio scolastico. In un caso su tre gli interventi nelle scuole sono serviti a trovare sostanze stupefacenti.
Il dibattito, soprattutto a sinistra, su questo tema in questi anni è stato: no ai cani, no alle divise a scuola. A tutti noi deve fare più paura la droga che devasta le vite dei ragazzi, di quanto non dovrebbero spaventare una divisa o un cane. Eppure anche questo esempio dimostra che dobbiamo essere coraggiosi, proseguire nell’azione riformista, usare buonsenso, non rincorrere la demagogia, gli urlatori, e neppure rintanarsi «a sinistra».
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L’esempio
In Toscana si discute da 20 anni di un centro rimpatri per immigrati, ma non si è fatto nulla