Mezzogiorno, con un fischio parte la catena dello spaccio
Ai giardini un’organizzazione di maghrebini e nigeriani rifornisce i giovanissimi
Due ragazzini che hanno l’aria di aver saltato la scuola, con gli zaini dell’Eastpak in spalla, arrivano nei giardini della Fortezza prima di mezzogiorno. Si siedono su una panchina, non hanno il tempo di attendere un attimo e due ragazzi africani si avvicinano e si siedono con loro. Un breve conciliabolo e parte un fischio di avviso: trovato l’acquirente, c’è da prepararsi. Uno degli africani si alza e va nel prato, parla brevemente con due maghrebini che hanno l’aria di gestire il mercato con i loro smartphone, e torna indietro; l’affare si fa, è autorizzato. Lo studente, che ha 16 anni al massimo, si alza, fa mezzo giro del laghetto, arriva fin dietro un cespuglio e torna indietro sorridente.
Lo spaccio, giusto pochi minuti dopo che due volanti della polizia se ne sono andate dal parco della Fortezza, si fa con qualche premura. Ma passano due ore, la campanella di uscita di scuola è già suonata da un pezzo, e tutto avviene molto più alla luce del sole. Stavolta gli studenti sono tre, sempre con i loro zainetti, si siedono, arriva un africano che contratta, fischia e ritira i soldi, poi è un maghrebino (un giovane molto curato, con un cappellino nero a oscurare gli occhi) che spunta da dietro i gabinetti pubblici a mettere in mano a un altro africano il pacchetto. Sulla panchina degli studenti, il primo africano, quello con i soldi, si è già dileguato, così arriva il secondo per la consegna della merce. E i ragazzi si fanno una canna subito, felici, davanti agli occhi di tutti.
Gli africani, per gran parte nigeriani, sono le api operaie, si espongono di più, hanno a che fare con i clienti, ma non rischiano più di tanto, si rivolgono solo ai ragazzini, non propongono nulla agli adulti, come invece avviene in centro o alle Cascine.
I maghrebini, le api regine, sono pochi. Controllano la «piazza» e gestiscono i depositi della droga. Che si sposta di continuo, attraverso i tanti che girano in bicicletta su e giù con le buste di
carta, e anche con gli addetti a far sparire tutto, che infilano le braccia nei bidoni della spazzatura fino al gomito per liberarsi di quel che hanno in mano, ma con la calma di chi la sistema con cura, in modo da ritrovarla. Tanto che quando arrivano i controlli dei carabinieri, poco prima delle tre di pomeriggio, il cane antidroga dietro i gabinetti pubblici non trova nulla. Nei due interventi di ieri della polizia e dei carabinieri, vengono rintracciate solo
poche dosi nascoste per terra o tra le frasche.
Il sistema di gestione dello spaccio del giardino è ingegnoso. Nessuno tiene stupefacenti in mano se non per pochi istanti. Così chi viene perquisito non ha niente addosso. E nessuno, né api regine né api operaie, sembra aver paura: ai giardini della Fortezza fa caldo, ma non c’è il rischio di doversi dare alla fuga neppure all’indomani del caso della ragazzina finita in overdose; così, tutti stanno in ciabatte, sandali o infradito, le scarpe da ginnastica possono attendere. Il rischio è così basso che quando arrivano le forze dell’ordine non scatta neppure l’allerta. Tutti se ne stanno buoni sulle panchine, sorridono in modo beffardo. L’unica preoccupazione sono «i borghesi», così vengono chiamati gli agenti in borghese, quelli che potrebbero cogliere gli
spacciatori sul fatto. Ma le divise sono un problema solo per chi non ha documenti in regola. Perciò, anche durante i controlli, un gruppone di africani si riposa nel prato, i sacchi a pelo per terra, una maglietta o un paio di pantaloni ad asciugare su un ramo. E con l’estate che volge al termine e i gabinetti pubblici ormai chiusi, la latrina viene improvvisata all’aria aperta, dietro il casottino. C’è persino un servizio mensa, la signora africana che arriva col trolley e distribuisce qualche piatto di riso.
Non sempre però gli affari si fanno in pace. Il 23 agosto, una rissa tra spacciatori portò allo scontro tra nigeriani e maghrebini, con i secondi in inferiorità numerica costretti a tuffarsi nel laghetto per salvarsi dalla furia dei rivali. E spesso volano le bottigliate, tanto che al chioschetto del parco hanno appeso un cartello che non lascia spazio a interpretazioni: «Per ragioni di ordine pubblico le bevande si servono in plastica». Franco Gambineri, da undici anni proprietario del chiosco, è esausto, medita di vendere: «Pago mille euro al mese di suolo pubblico: soldi buttati via. Ogni mattina pulisco con la varichina per eliminare urina e vomito». Lo scorso sabato il culmine: due africani, dopo un diverbio, si affrontano proprio accanto al bar, danneggiandolo: «Avevano in mano delle bottiglie rotte. Ormai mi tengo un bastone dentro al gabbiotto, per difendermi. Stiamo perdendo tutti i clienti, per colpa di questo supermercato della droga aperto 24 ore su 24». Gli stessi gestori dell’Off Bar, lo spazio estivo del giardino, lamentano una stagione difficile: «Già da luglio, quando aprimmo, la situazione era compromessa. I pusher si erano impossessati del parco e abbiamo dovuto assumere cinque addetti alla sicurezza per presidiare il bar e consentire l’apertura dei bagni pubblici, che senza di noi sarebbero sempre chiusi».
Qualcuno degli spacciatori, dai giardini, fa su e giù per viale Spartaco Lavagnini, dove il sottopassaggio pedonale è un altro luogo di ritrovo. La notte tra domenica e lunedì una fiorentina ci è passata in bicicletta: «Era l’una di notte, nel sottopassaggio c’erano tre spacciatori che avevano disteso una coperta per terra e con i coltelli si dividevano dei panetti di droga. Ho avuto paura da morire. La situazione tra la Fortezza e il viale è precipitata».
Al chiosco Lo sfogo del titolare: «Per difendermi tengo un bastone dentro al gabbiotto»