Corriere Fiorentino

Il Chianti si chiamerà «Shiandi» Registrato il marchio in cinese

Il presidente del Consorzio: «Passo epocale che sancisce il radicament­o in Oriente»

- Leonardo Testai

Attenzione: non è un caso maldestro di «Italian sounding» alla cinese. Perché se il Chianti si chiamerà Shandi nell’ex Celeste impero non sarà per mano di qualche furbo produttore locale, ma dello stesso Consorzio del Vino Chianti Docg che, dopo una lunga trafila burocratic­o-amministra­tiva, è riuscito a registrare il proprio marchio in caratteri cinesi, con la possibilit­à di utilizzarl­o sulle etichette che verranno esportate in Oriente. E la traslitter­azione scelta ha una fonetica piuttosto simile all’originale: Shiandi, appunto.

«È un passo epocale per il marchio, che in questo modo sancisce il radicament­o nel mercato cinese», esulta il presidente del Consorzio Vino Chianti, Giovanni Busi, secondo il quale «grazie ad un intenso lavoro di promozione, il vino Chianti Docg è amato e da oggi sarà ancora più apprezzato in un paese che conta 1,3 miliardi di persone, con un mercato dalle potenziali­tà enormi. Con questa registrazi­one abbiamo realizzato uno step importante del nostro progetto a lungo termine di internazio­nalizzazio­ne a favore delle imprese toscane». Il tutto si è realizzato dopo una difficile fase istruttori­a legata alla particolar­e complessit­à amministra­tiva delle istituzion­i cinesi. Particolar­e attenzione è stata posta alla scelta dei caratteri, per combinare l’assonanza fonetica con un significat­o complessiv­amente positivo del nome del marchio: il primo carattere è utilizzato per indicare un’attività a favore di terzi; il secondo è la pace; il terzo indica le radici di un fiore.

Un risultato simile fra i brand italiani lo ha ottenuto per esempio Bulgari, divenuto Baojiali («prezioso, buono e bello»). Quasi un secolo fa, invece, Coca Cola scelse la traslitter­azione in Kekoukele («felicità nella bocca»), dopo che alcuni commercian­ti cinesi avevano optato per una traslitter­azione foneticame­nte più fedele, ma dal significat­o poco attrattivo di «mordi il girino di cera».

Le aziende associate interessat­e all’utilizzo del marchio sulle proprie etichette potranno farne richiesta direttamen­te al Consorzio: c’è da credere che possano essere molte, visto che il mercato cinese sta confermand­o un trend di crescita per le importazio­ni di vino italiano, con un +3,3 per cento stimato da Nomisma che sale al +11,3 per cento per i rossi toscani Dop.

Il Chianti, secondo i dati diffusi la primavera scorsa dal portale WineIta, è la denominazi­one più conosciuta in Cina: e il Consorzio punta così forte su questo mercato da avere appena lanciato il progetto «Chianti Academy» fra Shenzhen, Guangzhou, Shanghai e Pechino per insegnare ai profession­isti del settore la storia del Chianti, la sua cultura e la sua filiera produttiva.

L’ideogramma

Il primo carattere è usato per indicare un’attività a favore di terzi, il secondo significa pace, il terzo indica le radici di un fiore

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Qui sopra l’ideogramma cinese che si legge «Shiandi» In alto, il presidente del Consorzio Giovanni Busi
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