Le osterie, gli artisti: com’era la città ai tempi del Vasari
Il ruolo degli artisti-cortigiani, le mode dei ricchi, i mendicanti accanto ai palazzi Viaggio nella Firenze del Cinquecento, tra osterie, ville in campagna e nuovi status symbol
Vasari era appena rientrato ad Arezzo — richiamato dalla morte del padre — quando da Madrid arrivava a Firenze un vademecum che avrebbe cambiato usi e costumi della città e soprattutto dei suoi artisti. Di lui, dell’architetto di corte, parleremo stasera durante il secondo appuntamento con le letture delle Vite riscritte da Enzo Fileno Carabba nella casa fiorentina dell’artista in Borgo Santa Croce 8. Ma quello che accadeva tutto intorno a lui, tra le dorate stanze abitate dalla famiglia Medici, nelle locande e botteghe, per le strade, è una rivoluzione assecondata e oculatamente gestita da Cosimo I e dallo stesso Vasari, suo cantore per immagini e attraverso le sue biografie d’artista più di ogni altro.
Anno di grazia 1528. Viene pubblicato Il Cortigiano che Baldassarre Castiglione ha scritto negli anni precedenti a Madrid dove è stato chiamato a svolgere la funzione di nunzio apostolico. «E — ci spiega Carlo Falciani, storico dell’arte esperto del periodo — da quel momento cambia tutto nel mondo dell’arte. Le Vite, in questo senso ci insegnano molto». Il ruolo degli artisti risulta del tutto modificato perché si chiede loro di sposare uno stile di vita da cortigiano. «Tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500 — aggiunge Falciani — il vecchio artista artigiano ancorato alla sua piccola bottega lascia il posto a una figura che deve uniformarsi alla vita di corte. Deve dunque vestire secondo la moda del tempo, frequentare circoli ristretti, fare vita mondana, vivere da cavaliere, abitare in ricche dimore servito da una pletora di persone. Molti di loro entreranno a far parte dell’Accademia delle Lettere, tutti dovranno compiacere il signore». Vasari in questo è maestro. Tanto che nelle sue Vite, elogia chi come lui fa una scelta «cortigiana» e biasima chi mostra disinteresse verso questo stile vivendo «in maniera bruta». «In questo senso lui — dice ancora lo storico dell’arte — è un detrattore di chi, come Piero di Cosimo o il Pontormo, ostenta distacco verso le cerimonie di corte. Mentre apprezza Rosso Fiorentino e i suoi “modi da cavaliere”».
Non avrà poche ricadute questa metamorfosi, perché il cambio epocale che trasforma l’artista in strumento di potere, sancisce il primato di Firenze come città dell’arte e trasforma i suoi interpreti in ricchi possidenti. Da questo momento cresce anche il prezzo dei quadri e gente come Vasari stesso, Michelangelo o lo Zuccari possono permettersi ricche magioni e possedimenti.
Ma se questa è la metamorfosi della ristretta enclave degli artisti non va sottovalutata la trasformazione della società nel suo complesso. Scrivono Luciano Artusi e Donatella Cirri nel loro Storie della Storia di Firenze (Sarnus edizioni) che, dopo l’assedio del 1529-1530, mentre le corti francesi, austriache e spagnole (ancora la Spagna) dettano legge quanto a moda — tessuti pregiati, abiti come corazze perle e gioielli per lei, pantaloni a sbuffo per lui — aumenta il distacco di questo mondo con quello delle classi più povere. «Perché l’aumento dei nuovi ricchi, s’accompagna alla crescita di poveri. Accanto ai palazzi si trovano tuguri. Firenze è ora piena di straccioni e mendicanti... Per pulci e pidocchi è una stagione d’oro». Anche perché si ridimensiona la capacità delle Confraternite di assistere i tanti nullatenenti. C’è però una sorta di classe media. E mentre i ricchi, tutti i ricchi, fanno a gara per avere la seconda casa in campagna dando vita a splendidi giardini all’italiana e favorendo la nascita del mito della campagna toscana, anche chi non può permettersi la dimora fuori porta, fa spesso e volentieri scampagnate oltre le mura anche per mangiare nelle osterie. Una tra le più famose dove pare si mangiasse da re si trovava poco oltre Porta San Gallo. Le osterie di Firenze e dintorni, piacciono molto ad artisti e letterati tanto che Andrea del Sarto e Giovan Francesco Rustici fondano anche la «Compagnia del Paiolo».
Questo mentre nelle case dei signori viene implementato l’uso di bagni dotati di vasca, alcuni, come quello fatto costruire da Cosimo I a Palazzo Vecchio, dotato di acqua corrente. L’abitudine di lavarsi durerà poco, già nel XVII secolo, inizia a diffondersi l’idea che sia da evitare perché danneggia la pelle e veicola malattie. Ma all’epoca del Granducato adoperare bagni e profumi è uno status symbol. Anzi è proprio da qui che parte quest’uso fino a raggiungere la Francia quando Caterina di Lorenzo va in sposa ad Enrico II. Non basta, oltre ai profumi e alle creme la giovane erede del casato dei Medici porta alla corte francese l’abitudine di usare il fazzoletto da naso, di cavalcare all’amazzone, di indossare i calzoni alla corsara sotto le gonne. Ma soprattutto l’uso di curare le mani, un vero segno distintivo della ricchezza. Lei le trattava con unguenti pregiati, le copriva con guanti e lucidava le unghie, facendo uso di chiare d’uovo.
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Carlo Falciani L’autore delle «Vite» biasimava chi mostrava disinteresse verso le abitudini da cavaliere