In cenere gli ulivi medicei Ma le radici forse sono salve
Il fuoco ha distrutto anche gli alberi che erano stati piantati 400 anni fa «Le piante erano ultra centenarie, abbiamo perso un patrimonio storico»
I crinali sono terra bruciata, i pini sono quasi tutti scomparsi. Del Monte Serra resta solo il cappello, gli antichi castagni sulla sua sommità. Ma in basso, il danno ambientale più grave sono gli uliveti andati in fumo. Secondo l’assessore alla protezione civile di Calci, Giovanni Sandroni, «se ci mettiamo anche allevamenti, vigneti, le necessarie bonifiche, parlare di cinque milioni di euro di danni non è un azzardo». Dei 1.400 ettari di vegetazione che non ci sono più, «circa un quinto era coltivato a ulivo». A dirlo è il vicepresidente pisano di Cia – Agricoltori italiani, Francesco Elter: «Al di là del danno economico, forestale e agricolo, c’è anche un danno storico, sociale e culturale incalcolabile. C’erano uliveti, che sono bruciati, che facevano parte del convento storico di Nicosia. Erano ulivi secolari, medicei, impianti che risalgono al Seicento». Al convento, il campanile scandisce le ore, ma le porte sono chiuse col lucchetto, il chiostro è invaso dalla vegetazione. La zona è verde, è stata lambita dall’incendio, ma non colpita. Eppure, l’uliveto che domina dall’alto l’antico complesso è bruciato. Gli esperti lo chiamano spotting, la notte tra lunedì e martedì l’incendio lanciava lapilli infuocando isole di bosco anche lontane duecento metri dal fronte. Lì, in quel cerchio, la terra annerita dalle fiamme è così secca che frana sotto i piedi. E in mezzo agli ulivi più giovani, quelli ancora verdi che il fuoco ha ignorato, lasciandoli vivi e in piedi, ci sono a terra pezzi di tronco larghi oltre un metro: sono quelli più antichi. Non resta traccia delle foglie, dei rami, solo brevi carcasse nere, svuotate. «Quando brucia una pianta di 400 anni, se le radici sono sane, si può provare a riallevare la pianta – spiega ancora Francesco Elter – L’unica speranza è quella. Ma dovremo valutare con calma il danno che hanno subito gli ulivi medicei». La soluzione, se le radici dovessero essere ancora sane, risparmiate dal fuoco, sarebbe un impianto di talea. Perché a Calci la specie di ulivo che viene coltivata, dal Seicento in poi, è sempre la stessa, il «Cùltivar dei Monti Pisani». La sorte degli ulivi medicei è appesa a un filo, come quella dell’antico convento agostiniano. A fondarlo, nel 1263, fu Ugo da Fagiano. Pisano di origine, era stato vescovo a Nicosia: tornato nella sua terra aveva deciso di dedicare la struttura alla Capitale di Cipro, in cui aveva operato per molti anni. Fu dopo la fusione cinquecentesca con i Canonici regolari, che gli ulivi medicei sopravvissuti fino a tre giorni fa furono piantati. Poi il convento, in epoca post napoleonica passò ai frati francescani. Fino al definitivo abbandono, nel 1970. Da qualche anno, a Calci c’è un’associazione, Nicosia Nostra, che si occupa di far vivere le aree verdi e il boschetto attorno al convento. «Quegli ulivi sono un patrimonio storico – dice il presidente Sandro Bernardini – Noi cerchiamo da anni di tenere in buone condizioni le aree verdi, abbiamo fatto un crowdfounding per fare sì che il boschetto diventasse un’area didattica. L’incendio per noi è un colpo duro».
La speranza, ora, è affidata alle verifiche sulle radici degli ulivi che verranno fatte nei prossimi giorni. «Dopo una bruttissima notizia, speriamo che ne arrivi una lieta, anzi due: il Ministero dei Beni culturali da un po’ di tempo ha stanziato delle risorse per salvare il convento di Nicosia dal rischio di crollo. A Calci tutti contano che i lavori possano iniziare a breve». Bisogna salvare 750 anni di storia.
La speranza
Se sotto terra qualcosa si è salvato proveremo a riallevare gli alberi Ma dovremo valutare con calma che danno abbiano davvero subito