Sì al decreto: un anno di aiuti per i lavoratori della Bekaert
È impietoso quel countdown ai cancelli d’ingresso. «Meno 7». Segna i giorni che mancano alla procedura di licenziamento. Uno stillicidio. Ogni giorno che passa la tensione cresce, e adesso manca pochissimo. Il futuro dei 318 lavoratori della Bekaert si decide in queste ore. È la settimana più lunga.
Davanti alla fabbrica di Figline Valdarno, i lavoratori aspettano notizie da Roma. Quelli che sono dentro lo stabilimento per gli ultimi giorni di lavoro, controllano continuamente i siti web alla ricerca di una notizia, di una speranza a cui aggrapparsi. Seguono i question time alla Camera dei Deputati, le dirette televisive. Davide, addetto alla sicurezza, è davanti al computer del suo ufficio quando sulle testate online rimbalza la notizia: il decreto urgenze, in cui è contenuta anche la modifica al Jobs Act che reintroduce la cassa integrazione per cessazione dell’attività, ha ottenuto il via libera dalla Ragioneria dello Stato. «Pensavo di non trovare novità — raccona Davide — invece ho scoperto della bollinatura da parte della Ragioneria di Stato. Così ho chiamato gli altri, il mio ufficio si è riempito».
È più di una speranza. La notizia corre sui cellulari, divampa nelle chat di gruppo dei 318 lavoratori sull’orlo del licenziamento. «È arrivato in chat un messaggio vocale del nostro sindacalista. Siamo rimasti increduli, forse è la svolta» dice Emanuele. Ma tutti si frenano, la prudenza ha la meglio sull’entusiasmo. La paura di scottarsi è tanta. Dice Alessio, carrellista: «Finché il decreto non arriva in Gazzetta Ufficiale, non possiamo cantare vittoria. Girano troppe voci ed è sempre bene restare in guardia». Ecco perché lo sciopero di oggi viene confermato, quattro ore con le braccia incrociate e un presidio dalle 11 alle 13 sotto la Prefettura di Firenze.
Decreti, gazzetta ufficiale, bollinature. Tutti gli operai Bekaert, da un giorno all’altro, sono diventati tecnici politici. E termini più o meno sconosciuti fino a ieri sono entrati improvvisamente nel lessico quotidiano. Conoscono i percorsi delle normative, e sanno che il decreto attende adesso la firma del Presidente della Repubblica. «Mattarella firma per noi» dicono in coro.
Non hanno mai smesso di lavorare. Avanti indietro tra casa e fabbrica, in sella alle loro biciclette che punteggiano la periferia figlinese. Passano davanti a tutti quei cartelli e striscioni di solidarietà, appesi da settimane alle inferriate d’ingresso. C’è anche una poesia di Laura, la moglie di un lavoratore. Dice così: «Giusti guerrieri, orgogliosi, con armi di sani principi, costretti a combattere una guerra fredda che vi ha da subito dichiarati perdenti... In silenzio comprensiva ci accompagno, con lacrime d’argento». Sono le famiglie a dare la forza di non arrendersi. «Sono il nostro rifugio» dice Marcello. «Guardo i miei figli, Ada e André, e cerco di far finta di nulla, cerco di nascondergli la verità ma loro l’hanno capito che loro babbo rischia di perdere il lavoro».
Adesso è il momento della verità. E con un spiraglio di fiducia davanti è il momento di guardare indietro, a questi giorni di barricate e presidi, spedizioni a Roma e Milano. «Ho ritrovato condivisione, comunità, solidarietà — dice Marcello — notti intere a chiacchierare per alimentare reciproche speranze».
Bekaert riparte da qui, dalla forza dei suoi operai orgogliosi, da una speranza ritrovata attaccati al computer un giovedì mattina. Dodici mesi di cassa integrazione, un anno di salvezza in attesa che si concretizzi un progetto di reindustrializzazione. Quel «meno sette», quel conto alla rovescia appeso ai cancelli della fabbrica ora fa un po’ meno paura. Sotto al numero qualcuno ha appeso un foglio A4 in una cartellina trasparente: c’è stampata, in bianco e nero, una foto di Di Maio, e sotto, con pennarello e evidenziatore, qualcuno ha scritto «318 volte grazie». Ma niente applausi, nessun festeggiamento: «Se non vedo, non credo». La diffidenza verso la politica è dura da vincere.
❞ La speranza va sugli schermi dei telefonini, poi tutti si radunano nell’ufficio di Davide: «La svolta, forse...»