Stupri, lo choc delle donne medico «Firenze si batta per pene più certe»
Appello da Ponte a Niccheri: «Abbiamo soccorso le ragazze violentate a Varlungo, ora basta»
È successo di nuovo. Ancora a distanza di pochi mesi. Una ragazza, 21 anni, portata nel cuore della notte in ospedale. Non ci si abitua mai. Non ci si può abituare. Alle ferite di lei, ai segni di una violenza feroce. Al suo dolore che diventa anche il dolore di chi, in prima battuta, è chiamato ad accogliere e ad assistere una vittima di stupro.
«Se la porterà dietro tutta la vita questa ferita, lo choc dell’aggressione. Quando riprenderà il suo percorso, magari completerà gli studi, cambierà città o resterà qui... comunque vada avanti la sua vita, cosa si porterà dietro di Firenze? Il ricordo di una violenza inaudita». Perché questo è stato ciò che vissuto la giovane studentessa asiatica aggredita e stuprata domenica, vicino al ponte di Varlungo: una violenza inaudita. Ed è un dolore che trabocca, che segna e avvolge anche chi lo guarda da «fuori» e deve maneggiarlo con delicatezza, semplicemente per svolgere al meglio il proprio lavoro. Come, ad esempio, le operatrici del Codice Rosa: ostetriche, ginecologhe, psicologhe, sono loro — oltre alle forze dell’ordine — il primo punto di contatto tra una donna vittima di violenza e quello che accade «dopo». Sono loro — formate proprio per quel percorso di cura, accoglienza e tutela delle vittime di abusi che è attivo oggi in tutti gli ospedali della Toscana — che raccolgono il primo racconto, quello più crudo. Anche a Ponte a Niccheri, da dove arriva questa riflessione che è anche un grido.
È a Ponte a Niccheri, infatti, all’ospedale Santissima Annunziata che è stata ricoverata domenica notte la ragazza asiatica violentata e picchiata da un pluripregiudicato romeno di 25 anni, poi fermato; e sempre lì era arrivata, a giugno, un’altra vittima, una giovane donna giapponese anche lei aggredita al Varlungo mentre faceva jogging all’alba e di cui è fortemente sospettato il senzatetto romeno che viveva in uno stabile occupato da tempo. «Per poco non l’ammazzarono, lo ricordo. E a questa ragazza, domenica sera, hanno fatto tanto male che se lo porterà dietro tutta la vita: le botte, oltre allo stupro. Questi due fatti ci hanno scosso tantissimo: poteva essere una di noi, una figlia, una sorella, un’amica». Le parole sono di una delle ostetriche con lunga esperienza che lavora a Ponte a Niccheri, ma sono parole condivise da un intero gruppo di donne e professioniste — ginecologhe, ostetriche, operatrici — che hanno deciso di alzare la voce, lanciando una petizione on line e scrivendo una lettera al sindaco, Dario Nardella. «Questo atto di violenza contro una donna colpisce ognuna di noi — scrivono — non possiamo permettere che passi come una delle tante violenze e che poi venga dimenticata. La città di Firenze e le donne che la vivoci.
❞ Ginecologhe, ostetriche, psicologhe Caro sindaco, la ferocia che abbiamo visto su quelle due giovani non si può dimenticare. Alcune di noi non fanno altro che piangere. È arrivato il momento di reagire e di proteggere il nostro diritto a vivere questa città
no non meritano questo». L’obiettivo è duplice: da una parte sollecitare Palazzo Vecchio a impegnarsi per tutelare maggiormente la sicurezza delle donne e della città, con più telecamere, più illuminazione, più controllo del territorio; dall’altra convincere il sindaco a farsi promotore «di una legge nazionale che renda certe le pene per chi compie questo crimine».
Non è un grido d’allarme, il loro, spiegano le Promotrici È piuttosto il desiderio, il tentativo di trasformare tutto quel dolore in qualcosa di costruttivo, perché «questa cicatrice diventi un momento di riscatto per tutte le donne», come si legge nella petizione pubblicata sulla piattaforma «Change.org» e che sta iniziando a raccogliere adesioni.
«La violenza che abbiamo visto l’altra notte in quella ragazza — raccontano — non si può dimenticare. La collega che ha accolto la vittima in Codice Rosa piange, non dorme da giorni: abbiamo tentato di raccogliere questo dolore e incanalarlo in qualcosa che rimanga, perché non si dimentichi in fretta. Abbiamo chiesto al sindaco anche un incontro: deve fare qualcosa, deve rispondere alla cittadinanza. È arrivato il momento di lottare, reagire, proteggere il nostro diritto a vivere la nostra città. Questa sarà la nostra cura».