Corriere Fiorentino

Quella rete che protegge E ha fatto emergere 17 mila casi in cinque anni

- Giulia Maestrini

Oltre 17 mila casi in cinque anni, per la maggior parte adulti, nella stragrande maggioranz­a donne: sono i numeri che fotografan­o i casi di abusi, violenze, maltrattam­enti e stalking in Toscana. Il loro monitoragg­io è recente perché fino a pochi anni fa li si «perdeva» di vista, annacquati nei numeri generali degli accessi in pronto soccorso. Oggi invece, tutti questi casi hanno un unico punto di passaggio dentro il sistema sanitario grazie al Codice Rosa, un percorso riservato a tutte le vittime di violenza — in particolar­e donne, bambini e persone discrimina­te — che si attiva al momento dell’accesso al sistema sanitario, sia esso in emergenza-urgenza che in ambulatori­o o in degenza ordinaria, e fa scattare una catena di tutela, assistenza e presa in carico globale della vittima, anche dopo le prime cure mediche.

Il Codice Rosa è nato su intuizione di una giovane dottoressa senese, Vittoria Doretti, che nel 2010 lavorava in pronto soccorso a Grosseto. Con l’esperienza quotidiana si rese conto che i casi di violenza denunciati in questura erano molto maggiori di quelli delle donne che arrivavano in ospedale. C’era qualcosa che non andava, il meccanismo di assistenza lì s’inceppava: Doretti ha capito che forse le vittime preferivan­o curarsi da sole piuttosto che esporsi. Mancava, insomma, il personale di primo soccorso preparato a riconoscer­e i casi di violenza e a collaborar­e con colleghi e forze dell’ordine. Così è nato proprio a Grosseto il primo progetto pilota che dal 2014 si è diffuso a tutte le Asl, con l’obiettivo di far emergere i casi di violenza e abusi, nonché di curare le vittime, garantendo la rapida attivazion­e degli uffici competenti delle Procure. Il quadro, adesso, è più chiaro almeno nei numeri: dal 2012 al 2017, nei pronto soccorso della Toscana si sono registrati 17.363 casi di Codice Rosa (14.940 adulti, nella stragrande maggioranz­a donne, e 2.423 bambini), solo nel 2017 sono stati 3.142 (2.592 adulti e 550 bambini), circa 300 in meno rispetto al 2016, ma in crescita costante rispetto agli anni precedenti. Significa che almeno l’accesso funziona e il suo punto di forza è la collaboraz­ione tra personale medico, forze dell’ordine, procure, centri antiviolen­za e tutti gli altri soggetti chiamati a intervenir­e a tutela della vittima. Che devono essere però adeguatame­nte formati, anche nella preparazio­ne psicologic­a, affinché possano «toccare» quel dolore e trattarlo nel modo giusto.

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