Buffalmacco, il burlone beffato da una scimmia
Pubblichiamo un estratto della «Vita» di Buffalmacco, riscritta, partendo dal testo di Vasari, da Enzo Fileno Carabba per il «Corriere Fiorentino» e letta giovedì al Museo di Casa Vasari. Prossimi appuntamenti: 4 (sold out), 11-18 e 25 ottobre. Posti limitati, per prenotare: 055 217704 (9-13 e 15-18, da lunedì a venerdì)
Vasari, nell’edizione delle Vite del 1550 dice che gli scherzi del burlevole Buffalmacco sono infiniti, e non è il caso di esagerare nel raccontarli. Poi però nell’edizione del 1568, essendo evidentemente maturato nell’animo, ne aggiunge molti, come se non fossero solo aneddoti divertenti ma il cuore profondo di qualcosa. Su quelli descritti da Boccaccio sorvola, eppure ne rimangono così tanti che risulta ammirevole che Buffalmacco che oltretutto dormiva parecchio trovasse il tempo di dipingere. Una volta stava lavorando nel Convento delle Donne di Faenza, che si trovava, a Firenze, dove ora sorge la Fortezza da Basso. Le monache, vedendo che era vestito in modo penoso, pensarono: questo deve essere un garzonaccio di seconda scelta buono a pestare i colori, guardalo là, non può essere il famoso Buffalmacco. Allora mandarono a dire a chi di dovere che loro volevano il maestro, non quel povero disgraziato. Buffalmacco mise un tavolo sopra l’altro, sopra ancora sistemò una brocca, fece sporgere un pennello dalla brocca e coprendo il tutto con un mantello creò una specie di scultura cubista che simulava un pittore al lavoro. Le monache vedendolo di lontano (non potevano avvicinarsi) pensavano fosse l’infaticabile vero maestro al lavoro. Dopo quindici giorni però si dissero che era troppo infaticabile, andarono vicino e scoprirono la verità. Fu così che Buffalmacco, i cui scherzi erano sempre istruttivi (e questo è forse il punto filosofico della questione) insegnò loro la differenza tra un pittore e una brocca e riprese il lavoro. Le monache alla fine rimasero molto soddisfatte perché Buffalmacco quando ci si metteva, il che accadeva raramente, non era inferiore a nessun pittore dell’epoca. Fu chiamato ad Arezzo dal vescovo Guido che aveva una scimmia, un bertuccione dice Vasari. Alcune parole che usa Vasari sono irresistibili ed è bello usarle anche se un po’ decadute. Questo bertuccione mentre Buffalmacco lavorava non gli toglieva mai gli occhi di dosso, era interessatissimo a tutto quello che faceva. Un sabato sera Buffalmacco interruppe l’opera e la domenica mattina il bertuccione si arrampicò sull’impalcatura. Era gravato da un gran rullo di legno che il vescovo gli aveva fatto legare alla caviglia per limitare i movimenti, ma spinto dalla sua passione pittorica riuscì nell’impresa considerevole di raggiungere il posto di lavoro di Buffalmacco.
Avrebbe potuto essere soddisfatto della prodezza atletica. Ma pensava solo all’arte. Imitando secondo lui tutto quello che aveva visto fare a Buffalmacco, preparò i colori e ridipinse tutto. Se qualcuno fosse stato lì a filmare la scena! Lunedì mattina Buffalmacco scoprì il disastro (la pittura astratta scimmiesca non era stata ancora inventata) e pensò fosse stato un aretino invidioso. Allora il vescovo gli concesse delle guardie armate con dei falcioni, per fare a pezzi il deturpatore, se fosse tornato. Si appostarono e il deturpatore tornò. Quando il vescovo e Buffalmacco smisero di ridere sistemarono il bertuccione in una gabbia accanto a dove Buffalmacco lavorava. Resta il fatto che il più burlevole degli uomini fu burlato da una scimmia.