L’ultimo trionfo di Bartali, sulle strade toscane
A trentanove anni Ginettaccio staccò tutti sulle sue strade e conquistò il Giro di Toscana Poi il campione non vinse più
Quelle strade erano da sempre casa sua, nel bene e nel male. Lì aveva vinto al Giro, lì era stato rovinosamente investito suo fratello minore Giulio, morto poco dopo sotto i ferri, lì i suoi tifosi non si contavano e i coppiani erano in netta minoranza. Per Gino Bartali salite e discese attorno a Firenze, ma anche in Mugello o nel pistoiese erano pane quotidiano ed assieme ai suoi compagni di squadra macinava chilometri su chilometri sempre chiacchierando senza sosta come ricordava Alfredo Martini maledicendo «i chilometrini, come Gino li chiamava» che non finivano mai. E il Giro di Toscana, una classicissima che vedeva al via tutti i più forti ciclisti dell’epoca, era ancor di più «casa sua».
Gino, passato professionista nel 1935, anno in cui vinse ben 12 volte, dovette aspettare quattro anni prima di trionfare sulle strade fiorentine, aggiudicandosi l’undicesima tappa del Giro 1939, Forlì-Firenze, e in quell’anno conquistò il suo primo Giro di Toscana, con partenza e arrivo nel capoluogo di regione e 300 chilometri di tracciato vallonato. A quella edizione della corsa partecipò da indipendente, con la maglia gialla e rossa del Dopolavoro di Novi Ligure, il diciannovenne Fausto Coppi che non portò a termine la gara, e nel 1940 Bartali fece il bis, mentre nel 1941 Fausto Coppi, che indossava ancora la maglia rosa del Giro vinto nel 1940, conquistò per l’unica volta la corsa toscana che vide il ritiro di più della metà degli atleti che si erano schiarati al via, con Bartali secondo a circa due minuti di distacco.
La rivalità tra Bartali e Coppi era ormai esplosa, con Gino, che aveva vinto il Giro d’Italia nel 1936 e ‘37 e il Tour de France nel 1938, amatissimo dai tifosi anche per la sua grinta e forza e Fausto (che si era imposto in rosa nel 1940) che aveva uno stile completamente diverso, irresistibile nei giorni di grazia ma anche fragile e spesso ritiratosi in corsa, cosa che il toscanaccio non faceva praticamente mai. La guerra imperversava ma il regime voleva a tutti costi mantenere la normalità ed il Giro di Toscana, come altre corse, si svolse regolarmente sia nel 1942 che nel 1943, ma Bartali non riuscì a primeggiare. Nel ‘42 vinse in solitaria il romagnolo Vito Ortelli e Bartali si piazzò secondo dopo aver staccato Coppi e gli altri in salita, nel ‘43 si impose il livornese Olimpio Bizzi. Il Giro di Toscana, come il Giro d’Italia tornò solo nel 1946, in un’Italia ferita dalla guerra e punteggiata di macerie, ma continuò a sfuggire a Gino. Secondo nel 1946, ancora dietro nel ‘47, nel mitico 1948 — quando vinse inaspettatamente il Tour a dieci anni di distanza dal primo trionfo in Francia — ruppe finalmente l’incantesimo e a 34 anni si tolse di ruota Coppi e tutti gli altri sulla salita di San Casciano e giunse solo a Firenze tra i tifosi in delirio con quattro minuti sul secondo. Era gli anni d’oro del ciclismo italiano e toscano, con Magni a fare da terzo incomodo tra Bartali e Coppi, e dopo la vittoria di Magni nel 1949, l’anno successivo Ginettaccio non aveva messo in calendario il Giro di Toscana ma fu convinto dagli organizzatori e alla fine si schierò al via. Le cronache narrano di una corsa durissima, con acqua a catinelle e fango fin dalla partenza, condizioni amate dal vecchio campione che più la gara era dura più si esaltava e sfruttava la sua forza. Il senese Primo Volpi (ciclista di buon livello, che era arrivato quinto al Giro del 1948) andò in fuga presto e staccò tutti: Bartali però non si arrese e dopo un furioso inseguimento solitario raggiunse Volpi ormai in vista del traguardo e lo superò, beffandolo in volata. Volpi deluso riconobbe sportivamente la superiorità di Gino — «arrivare secondo dietro Bartali è comunque un grandissimo onore» — mentre sui giornali fece quasi più notizia il fatto che gli organizzatori avevano indicato in 298 km il tracciato, per poi correggerlo in 302, ma i giornalisti al seguito in auto scrissero di aver fatto 320 chilometri... Gino era anziano per lo sport dell’epoca ma ancora un protagonista, capace di vincere in quel 1950 la Milano-Sanremo, una tappa al Giro e una al Tour, circondato da l’immenso affetto dei tifosi toscani e non solo. Bartali era consapevole di aver ormai dato il meglio, ma continuò a correre e vincere, sia pure molto meno di prima, e nel 1953 ad ormai trentanove anni colse il quarto posto al Giro vinto da Fausto Coppi davanti a Hugo Koblet e Pasqualino Fornara, si aggiudicò il Giro dell’Emilia e al Giro di Toscana partì con indosso la maglia tricolore di campione italiano conquistata l’anno precedente. La stagione era stata positiva, Gino si sentiva bene, alla partenza c’era arci-rivale Fausto Coppi, un motivo in più per ben figurare e a Firenze, dove la corsa partiva da piazza Strozzi e si concludeva nel velodromo delle Cascine, in tanti erano accorsi per lui. Pronti via, Gino e Fausto si marcarono a vista ma sul monte Oppio Bartali capì che Coppi non era in giornata — «lo conoscevo bene, si vedeva che non aveva la gamba» — e infatti il campionissimo si ritirò, togliendo a Bartali una preoccupazione. Ma gli altri ciclisti non stettero a guardare e il campione di Ponte a Ema dovette sudare non poco per conquistare il suo quinto Giro di Toscana, raggiungendo i fuggitivi di inizio corsa sul San Baronto e arrivando solo dopo aver staccato tutti. «Ho chiuso in casa. E qualcuno potrebbe pensare che questo ultimo mio exploit vincente sul traguardo che mi era familiare sia stato un gentile regalo degli avversari che mi sapevano al tramonto. Un corno! — scrisse poi nel suo libro “Tutto sbagliato, tutto da rifare” — Quel giro di Toscana ha una sua storia. Dovevo vincerlo. Se così non fosse avvenuto, mi avrebbero tolto dalla squadra italiana in partenza per il Tour, il mio ultimo Tour». Era il 24 giugno 1953 e una folla strabocchevole lo acclamò al Velodromo (tanti rimasero fuori dall’impianto e lo applaudirono per strada) mentre i giornali titolarono «Firenze tutta fuoco per il suo vecchio campione», «La rivincita di Bartali». Non sapeva Gino, che si ritirò dalle corse nel 1955, nè potevano immaginarlo i tifosi, che quella sarebbe stata l’ultima vittoria della sua inimitabile carriera.