CON MATTEO E FILIPPO (E QUEI GOL «RUBATI») SON TORNATO BAMBINO
Quella cresciuta con i calzoni corti anche d’inverno e le minuscole cosce arrossate senza pietà dalla tramontana precipitosa del Campo di Marte. Ma quello «sbajio» è stato il primo atto di sfiducia, è stata la prima rassegnata comunicazione che il mio nipotino Filippo fece ai suoi genitori sul conto del nonno. In seguito, grazie a un naturale e inevitabile recupero la frase «il nonno ha sbajato» è entrata di colpo nel gergo familiare. Ne sono quasi fiero perché ancora oggi, a circa sette anni da quel giorno, se qualcuno commette un errore in casa mia si dice che ha «sbajato» perché le deformate parole dei bambini sono destinate a penetrare in una sorta di immortalità familiare. In ogni parte del mondo.
Il «telano», forse non sapete cosa sia, eppure si tratta dell’oggetto più usato dei giorni nostri: il telefono. In casa mia anche se i nipotini crescono si continua a dire «rispondi
Le deformate parole dei bambini sono destinate a penetrare in una sorta di immortalità familiare. In ogni parte del mondo
al telano» oppure a chiedere, perché i cellulari sfuggono al controllo, dove sia finito il «telano». Con un’operazione di intelligente riciclaggio l’altro giorno il mio nipotino maggiore, che ovviamente parla ormai meglio del doppiatore di Humphrey Bogart, allo squillo del cellulare — i telefoni di casa ormai non squillano più e il loro suono mette quasi paura — ha rievocato se stesso, con un’operazione a mio avviso molto intelligente, esclamando: «telanoooo».
Di nipoti, se a qualcuno interessa saperlo, ne ho due e invidio un mio amico che ne ha sette. I nipoti sono la cosa migliore che può capitare a un adulto in età avanzata. Lo sono anche quando hanno l’adorabile grinta del mio secondo nipote che si chiama Matteo, ha cinque anni, ed alterna atteggiamenti da duro in miniatura, dove evidentemente imita noi grandi, ad altri dolcissimi e allo stesso tempo ironici come capita quando mi chiama nonnuccio. Cerco di fargli credere che tanto uccio non sono, ma lui scrolla la testa. L’adorabile malandrino sa fare anche di meglio, o di peggio, non più tardi di una settimana fa mentre ero seduto sulla modesta ma amichevole gradinata di un campetto di periferia dove il suo fratello maggior si stava «allenando» — ma togliamo pure le virgolette — con la sua squadra di calcio, Matteo è sbucato da sotto le tribune e sapendo come colpirmi ha urlato «vecchiuccio». E io ero lì circondato da molto pubblico anche femminile. Ho cercato di replicare ma non sono andato oltre un «bambinuccio» modulato sulle note di «vecchiuccio».
E visto che siamo entrati nell’argomento calcio diamo spazio alle partite che si svolgono nel cosiddetto studiolo (citazione da Amici miei, ricordate il sottosuolo di Tognazzi?) e che non temono rivali con il campionato di serie A, tanto sono intense e tirate.
Mai incerte perché i nipotini vincono sempre. La stanza è piccola e abbastanza pericolosa, vi alloggia anche una libreria con le porte di vetro, a me sì tanto cara, eppure consegnata colpevolmente ai rischi del calcistico match. I nipoti dominano, specialmente Filippo che osa perfino la «rabona» sotto i miei occhi e segna spesso di tacco, approfittando dei miei movimenti resi incerti da qualche mal di schiena. Quando il nonno, che vanta un oscuro ma indimenticabile passato di calciatore, segna un gol è solito andare «a festeggiare con il suo pubblico» che idealmente alloggia sopra un divano. Filippo, fino da quando era più piccolo, ne approfitta per rimettere in gioco la palla alla svelta e segnare a porta vuota, aspettando la mia disperazione che arriva puntuale. Le partite durano «a chi arriva primo a 50» e qui il nonno denuncia un certo calo alla distanza. Le sconfitte si accumulano, ma ora che Filippo è cresciuto e si avvia verso i nove anni, noto che sta entrando nell’epoca cavalleresca del rispetto nei confronti dell’avversario. Lo intuisco quando, dopo un suo gol di tacco, mi lascia poi segnare, fingendo un errore. Ma io il gol me lo prendo perché ormai le parti si sono rovesciate. Il nipotino sono diventato io e così spero sia per tutti i nonni del mondo.