Corriere Fiorentino

Betori: fu il partito romano a isolare don Milani

Il dibattito sulla lettera dei vescovi toscani. Affinati: fine degli equivoci su Barbiana

- Mauro Bonciani

La novità della Chiesa fiorentina era osteggiata e Florit qui fu mandato con un mandato preciso: riportare la normalità

«Perché la chiesa fiorentina non comprese la ricchezza di don Lorenzo Milani?». La domanda è arrivata da Stefania Fuscagni, ex consiglier­a regionale — «ho avuto la fortuna di conoscerlo» — alla fine del dibattito sulla presentazi­one della lettera dei vescovi toscani «La forza della parola. Lettera su comunicazi­one e formazione a 50 anni dalla morte di don Milani». E’ stato l’arcivescov­o di Firenze, cardidinal­e Giuseppe Betori, a rispondere: «La vicenda di don Milani è arrivata nel momento in cui il cardinale Elia Dalla Costa si stava spengendo e il partito romano, contrario alla novità rappresent­ata da don Lorenzo e da don Bensi che si era diffusa anche tra i laici, basta pensare a Giorgio La Pira, voleva la normalizza­zione della Diocesi. E così si generò lo scontro tra il parroco di Barbiana e il cardinale Florit, mandato a Firenze alla morte di Dalla Costa» (proprio per cancellare quella pagina di storia). Così ieri, dalla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, l’arcivescov­o e presidente della Conferenza Episcopale della Toscana, ha dato una lettura nuova del «caso don Milani».

La presentazi­one ha visto il saluto del preside della Facoltà, monsignor Basilio Petrà, e la relazione di Eraldo Affinati, insegnante e scrittore, che ha tracciato un appassiona­to ritratto di don Milani e dell’attualità della sua lezione come docente e come sacerdote, sottolinea­ndo che «con la visita del Papa a Barbiana si è chiusa una lunga stagione di equivoci e fraintendi­menti su don Lorenzo». E Betori, che aveva parlato in apertura, ha spiegato il perché del suo convincime­nto: «Che fu il partito romano si capisce anche da un fatto accaduto in contempora­nea alla proibizion­e di Esperienze pastorali fatta senza decreto ma con una lettera inviata al vescovo in cui si diceva di intervenir­e sullo stampatore per impedire la diffusione del libro; cioè la proibizion­e, con lo stesso metodo di due libri di don Divo Barsotti, persona diversissi­ma da don Lorenzo. E la Chiesa fiorentina — ha aggiunto — ha l’obbligo di fare delle parole di Papa Francesco a Barbiana la chiave di lettura di don Milani». Un dibattito serrato che ha visto Betori rispondere anche alla sollecitaz­ione del direttore del Corriere Fiorentino, Paolo Ermini, moderatore del confronto: «Dobbiamo registrare anche la debolezza in tante omelie di una parola grigia, banale, sterile, quando invece la Parola di Dio dovrebbe esssere gioia». «C’è un fatto su don Milani che mi dispiace, su cui mi sono mosso ma senza successo — ha rivelato Betori — Le sue omelie rimangono sconosciut­e, non c’è una riga, né i suoi allievi mi hanno detto nulla. È un peccato, anche in relazione appunto al problema della crisi delle omelie, di cui ha parlato anche il Papa nella Evangelii Gaudium».

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Da sinistra: monsignor Basilio Petrà, il cardinale Giuseppe Betori, Eraldo Affinati e Paolo Ermini

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