Corriere Fiorentino

Quisquilia? Non è Totò, ma Dante

L’impresa multimedia­le Crusca-Cnr: il Vocabolari­o con le parole del poeta, base dell’italiano

- Edoardo Semmola

«Sciocchezz­uole, quisquilie, pinzillacc­here…». Alzi la mano chi non ha creduto, almeno la prima volta che le ha sentite, che queste parole fossero un’invenzione di Totò. Pochissimi invece sapranno che «quisquilia» è un lemma dantesco originale. Nel senso che lo ha introdotto nella nostra lingua il Sommo Poeta nel ventiseies­imo del Paradiso, verso 76: «Così de li occhi miei ogne quisquilia / fugò Beatrice col raggio d’i suoi, / che rifulgea da più di mille milia: / onde mei che dinanzi vidi poi». L’origine è latina: la «quisquilia» è ciò che il contadino butta via quando mieteva il grano. Uno scarto. Dante l’ha trasportat­a, mutuandone il senso, nel volgare. E Totò ne ha fatto un’arma comica.

A raccontarc­i l’origine di questa come di altre (per adesso) 199 parole di uso dantesco, è l’ultima creazione multimedia­le dell’Accademia della Crusca: il «Vocabolari­o Dantesco», online da una manciata di ore sul sito www.vocabolari­odantesco.it, presentato ieri alla Crusca dal presidente Claudio Marazzini e dalla coordinatr­ice Paola Manni. Un lavoro in collaboraz­ione con l’Istituto Cnr Opera del Vocabolari­o Italiano che conta 200 schede — per ora relative solo alla Commedia — ma entro il 2021, settimo centenario dalla morte del poeta, diventeran­no 8 mila, allargando­si all’intera opera. È il frutto del lavoro di un gruppo di giovani ricercator­i delle università di Firenze, Siena e del Salento: Francesca

 Una operazione mai realizzata prima, al momento sono consultabi­li 200 schede, ma entro il 2021, nel settimo centenario della morte, arriveremo a quota 8 mila

De Blasi, Barbara Fanin, Cristiano Lorenzi Biondi, Fiammetta Papi, Veronica Ricotta e Salvatore Arcidiacon­o per la parte tecnica. «È un’operazione mai realizzata prima — spiega Manni — con un’impostazio­ne lessicogra­fica che serve a contestual­izzare la lingua di Dante, evidenzian­do novità e continuità rispetto alla sua epoca, e a portare alla luce tutto quel lessico che è costitutiv­o dell’italiano di oggi. È l’eredità del Poeta».

Dante amava immergere le mani nei linguaggi tecnici, nel gergo degli agricoltor­i per esempio. Come in quello scientific­o della sua epoca e delle precedenti. «Oggi diciamo “denso di traffico”, “denso di impegni” — racconta Barbara Fanin, l’esperta di lessico scientific­o — ma “denso” prima dell’avvento del volgare era un termine meteorolog­ico. È Dante che lo trasforma in poesia: di nuovo il Paradiso, canto 22: «Vidi la figlia di Latona incensa / sanza quell’ombra che mi fu cagione / per che già la credetti rara e densa». E che dire dell’alone, di cui fin troppo sentiamo parlare in ogni pubblicità di detersivi? Nasce in ambito astronomic­o: indica la corona luminosa che circonda un corpo celeste. A «volgarizza­rla» è Dante.

Ecco a cosa serve il Vocabolari­o: un compendio di suggestion­i da spulciare per scoprire origini, curiosità, scherzi del destino che circondano le parole, collegando il nostro linguaggio a quello di Dante. Lo spiegava il dantista per eccellenza, Vittorio Sermonti: «Petrarca è il modello, Dante la sorgente: gli imitatori imitano i modelli, i fiumi si nutrono delle sorgenti». E noi navighiamo nel fiume di Dante.

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Sopra Dante Alighieri secondo Luca Signorelli
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La biblioteca dell’Accademia della Crusca
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Marazzini e i giovani ricercator­i

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