Quisquilia? Non è Totò, ma Dante
L’impresa multimediale Crusca-Cnr: il Vocabolario con le parole del poeta, base dell’italiano
«Sciocchezzuole, quisquilie, pinzillacchere…». Alzi la mano chi non ha creduto, almeno la prima volta che le ha sentite, che queste parole fossero un’invenzione di Totò. Pochissimi invece sapranno che «quisquilia» è un lemma dantesco originale. Nel senso che lo ha introdotto nella nostra lingua il Sommo Poeta nel ventiseiesimo del Paradiso, verso 76: «Così de li occhi miei ogne quisquilia / fugò Beatrice col raggio d’i suoi, / che rifulgea da più di mille milia: / onde mei che dinanzi vidi poi». L’origine è latina: la «quisquilia» è ciò che il contadino butta via quando mieteva il grano. Uno scarto. Dante l’ha trasportata, mutuandone il senso, nel volgare. E Totò ne ha fatto un’arma comica.
A raccontarci l’origine di questa come di altre (per adesso) 199 parole di uso dantesco, è l’ultima creazione multimediale dell’Accademia della Crusca: il «Vocabolario Dantesco», online da una manciata di ore sul sito www.vocabolariodantesco.it, presentato ieri alla Crusca dal presidente Claudio Marazzini e dalla coordinatrice Paola Manni. Un lavoro in collaborazione con l’Istituto Cnr Opera del Vocabolario Italiano che conta 200 schede — per ora relative solo alla Commedia — ma entro il 2021, settimo centenario dalla morte del poeta, diventeranno 8 mila, allargandosi all’intera opera. È il frutto del lavoro di un gruppo di giovani ricercatori delle università di Firenze, Siena e del Salento: Francesca
Una operazione mai realizzata prima, al momento sono consultabili 200 schede, ma entro il 2021, nel settimo centenario della morte, arriveremo a quota 8 mila
De Blasi, Barbara Fanin, Cristiano Lorenzi Biondi, Fiammetta Papi, Veronica Ricotta e Salvatore Arcidiacono per la parte tecnica. «È un’operazione mai realizzata prima — spiega Manni — con un’impostazione lessicografica che serve a contestualizzare la lingua di Dante, evidenziando novità e continuità rispetto alla sua epoca, e a portare alla luce tutto quel lessico che è costitutivo dell’italiano di oggi. È l’eredità del Poeta».
Dante amava immergere le mani nei linguaggi tecnici, nel gergo degli agricoltori per esempio. Come in quello scientifico della sua epoca e delle precedenti. «Oggi diciamo “denso di traffico”, “denso di impegni” — racconta Barbara Fanin, l’esperta di lessico scientifico — ma “denso” prima dell’avvento del volgare era un termine meteorologico. È Dante che lo trasforma in poesia: di nuovo il Paradiso, canto 22: «Vidi la figlia di Latona incensa / sanza quell’ombra che mi fu cagione / per che già la credetti rara e densa». E che dire dell’alone, di cui fin troppo sentiamo parlare in ogni pubblicità di detersivi? Nasce in ambito astronomico: indica la corona luminosa che circonda un corpo celeste. A «volgarizzarla» è Dante.
Ecco a cosa serve il Vocabolario: un compendio di suggestioni da spulciare per scoprire origini, curiosità, scherzi del destino che circondano le parole, collegando il nostro linguaggio a quello di Dante. Lo spiegava il dantista per eccellenza, Vittorio Sermonti: «Petrarca è il modello, Dante la sorgente: gli imitatori imitano i modelli, i fiumi si nutrono delle sorgenti». E noi navighiamo nel fiume di Dante.