«Più pazienti, più stress E nessuno a sostituirci»
Targioni, medico al pronto soccorso: perché ho lasciato
«Negli ultimi anni, la durata dei turni è rimasta la stessa di una volta. Ma il numero dei medici è calato. E chi è rimasto in corsia ora si deve occupare di più pazienti di prima. Ritmi e stress diventano difficili da sostenere, non solo sul piano fisico». Susanna Targioni, per molti anni medico al pronto soccorso dell’ospedale di Montepulciano e andata recentemente in pensione, racconta la vita dura in ospedale causata dal mancato turn over.
«Il peggioramento c’è stato sicuramente, tra chi cambiava ospedale, chi andava in pensione, tutto ricadeva su chi restava. Questo ci ha messo nelle condizioni di fare turni davvero pesanti». Sei ore durante il giorno, ben dodici ore nel turno di notte. «E parliamo di stare dodici ore in piedi, con un afflusso di persone paragonabile a quello del giorno. Quando esci sei distrutta, la testa è piena dei problemi e delle difficoltà che hai affrontato durante il servizio — racconta — E, specialmente per una donna, tornare a casa e affrontare i problemi che hanno tutte le persone del mondo è una fatica che ha volte ti sembra insormontabile». «Oltre alla fatica fisica, si aggiunge il fatto che il pronto soccorso è quanto di meno prevedibile possa esistere — aggiunge la dottoressa Targioni — Non puoi sapere quel che ti succederà: in due minuti passi da una situazione tranquilla al finimondo, ti capita il maxi incidente stradale, i “pazzi” che rompono tutto, devi chiamare i carabinieri, parlare con i familiari e magari dargli notizie brutte che non puoi liquidare in un minuto, mentre devi gestire anche chi è in sala d’attesa e protesta perché vuole essere visitato».
Ritmi impegnativi, che si ripercuotono sulla qualità del lavoro nelle ultime ore di un turno: «Di notte, il momento peggiore arriva dopo le cinque, le sei. Sei stanca morta e continuano ad arrivare i problemi. E se hai avuto molti casi di cui occuparti, perché i medici sono pochi, c’è il rischio di fare errori, sei condizionata dalla paura di sbagliare, non hai più la stessa capacità di affrontare le cose come quando non sei sotto stress. Se poi ti sei occupata di un caso impegnativo, doloroso, quando smonti non riesci a dormire, sei talmente tesa che ti ripassa tutto nella mente per ore». Susanna Targioni ricorda che quando, nel 2000, nacque l’ospedale di Nottola, i problemi organizzativi erano tanti e i medici pochi: «Ma quando parti con un nuovo servizio è normale avere qualche difficoltà. Tanto e vero che negli anni la situazione è migliorata, i medici aumentavano. Poi l’inversione di tendenza e siamo rimasti sempre di meno. È un circolo vizioso, perché in queste condizioni il lavoro diventa meno appetibile, sempre più faticoso e pieno di responsabilità». Per una donna le cose si complicano: «Ho cresciuto due figli con i nonni che abitavano lontano, è stato difficile anche perché lavori per le feste. D’inverno, poi, fai il Natale e l’ultimo dell’anno in ospedale, che è pure un inferno per l’influenza di massa: i medici di famiglia vanno in vacanza e tu sei al fronte»».«Sono andata in pensione a 62 anni perché mi sono laureata presto — conclude — Almeno per il settore delle emergenze, che comprende anche osservazione breve e medicina d’urgenza, quando arrivi a 60 anni non reggi più fisicamente, i ritmi non sono più sostenibili. E se hai la possibilità di andare in pensione ne approfitti».
❞ Sei ore durante il giorno, 12 di notte e non puoi mai sapere cosa succederà: in due minuti può essere il finimondo