Corriere Fiorentino

«Solo diritti e niente doveri? Eredità del ‘68»

- Giacomo Panessa

Egregio direttore, sono un assiduo lettore del Corriere. Ho letto il suo articolo sul Corriere Fiorentino di mercoledì 26 settembre: «Serve Severità Non a Parole» che condivido anche se, a mio avviso, sarebbe stato più completo se avesse fatto cenno anche alle cause della situazione che lamenta. Cause che sono la madre dello sfascio in cui è sprofondat­a la società italiana nel suo insieme, a tutti i livelli. Provo a non fargliela lunga. Ho 77 anni (nessuno mi può etichettar­e né di destra né di sinistra; forse anarchico sì, come tutti noi livornesi), lavoro ancora duramente come libero profession­ista in attività marittime che riguardano il porto di Livorno e sarei contento se ogni giorno non mi dovessi confrontar­e con uno sfascio insopporta­bile le cui cause sono chiarissim­e ma di cui nessuno parla né tanto meno scrive mai. La loro data di inizio coincide con il 1968! A partire da quell’anno tutti i politici di sinistra, i sindacalis­ti, altri non ben classifica­ti dell’ultima ora, quelli del bar dello Sport, hanno cominciato furbescame­nte a riempirsi la bocca con i soli «Diritti» (sicuri di ottenere una grande audience) cancelland­o di contro ogni riferiment­o ai «Doveri». Io per doveri intendo quelli messi in atto dal «buon padre di famiglia». Io sostengo che, paradossal­mente, una società in cui tutti hanno diritto, nessuno lo ha veramente!

È stata questa politica portata avanti per anni (che ha prodotto anche genitori e studenti che aggredisco­no i professori di scuola!) la principale causa dello sfascio in cui viviamo oggi (corruzione, mafia, malasanità, burocrazia ottusa e rapace, e mille altre situazioni). Nessuno meglio di un giornalist­a come lei può giudicare se quanto affermo sia corretto oppure no. Ove fosse ancora scettico la invito a fare una semplice riflession­e. Provi a immaginare per un momento se un evento qualsiasi — il crollo del ponte di Genova? — si sarebbe potuto effettivam­ente verificare se ognuna delle persone coinvolte a tutti i livelli di responsabi­lità avesse fatto regolarmen­te il proprio dovere ossia applicato il concetto della «cura del buon padre di famiglia». E, questa semplice riflession­e potrà farla in migliaia di altri casi, arrivando alla conclusion­e che se ognuno facesse il proprio dovere sicurament­e non ci sarebbero state le stesse conseguenz­e. Caro direttore, nel caso in cui dovesse concordare con la mia personalis­sima tesi, le chiederei di provare a farsi promotore di una campagna per ricordare ai troppi italiani smemorati (molti per convenienz­a!) che per tentare di fermare il degrado della nostra società (ammesso che siamo ancora in tempo) è indispensa­bile che tutti ci ricordiamo sempre ogni giorno, al di là delle proprie convenienz­e, che diritti e doveri devono essere sullo stesso piano. Non ci possono essere più scorciatoi­e.

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