Assalto al cinema (Netflix e non solo)
Le riprese a Firenze, le sale che spariscono. Una resistenza o una battaglia passatista?
L’assedio americano a Firenze è finito da qualche settimana. Ha lasciato un po’ di danni e una diffusa rabbia fra i cittadini, contro la produzione e il regista Michael Bay; il quale, esperto in kolossal spaziali e catastrofici (Armageddon è il suo film che mi piace di più, Transformers il trittico più famoso) ha finito le riprese a Firenze del suo nuovo Six Underground ed è tornato immediatamente a casa.
Mentre molti fiorentini si sono arrabbiati per lo sconvolgimento sistematico del centro storico (non senza fastidiose conseguenze su un traffico già caotico) il sindaco Dario Nardella sembrava molto contento. Ha preso un po’ di soldi come affitto-rimborso, auspica nuovi flussi turistici (ce n’è davvero bisogno?) come capitò ai tempi di Inferno, ed ha persino consegnato ufficialmente al regista le chiavi della città.
Tutto questo basterebbe per accendere vivaci discussioni sull’operato del Comune ma c’è un dettaglio in più che complica la situazione (probabilmente Nardella neppure lo sapeva). Il filmone è stato prodotto da Netflix, il potente colosso dello streaming che sta stravolgendo i criteri della distribuzione del cinema nel mondo, ponendo le basi per un futuro diverso. Quelli di Netflix fanno le cose in grande con forti investimenti. Molti registi di chiara fama (Scorsese, i Coen, Alfonso Cuarón e tanti altri) sono già al lavoro per loro, per non parlare delle tante (spesso emozionanti) serie a puntate.
Il nodo è che nelle intenzioni dei dirigenti tutte queste opere non si vedranno nelle sale, ma soltanto sui tablet, sui computer, o grazie ad appositi cavetti sui televisori. Le poche eccezioni (ad esempio Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, la drammatica cronaca del caso Cucchi) si possono vedere in contemporanea, al cinema o in casa. Non è escluso che in un prossimo futuro Netflix compri un bel numero di locali e metta su un circuito personale. Per ora questa è sotavolino, lo una ipotesi e per niente rassicurante per gli attuali esercenti. La disputa fra difesa del passato e idee del futuro è aspra e generale. Il Festival di Cannes, tanto per dire, si è rifiutato di mettere in concorso per la Palma d’oro qualsiasi film targato Netflix. Mentre Alberto Barbera, direttore della Mostra di Venezia, ha fatto la scelta opposta. Le opere Netflix potevano correre liberamente per il Leone d’oro, e difatti una di esse, Roma di Cuarón, ha vinto, come del resto era previsto, perché il film è duro e bello e il presidente della Giuria era un altro maestro (e amico) messicano, il visionario Guillermo Del Toro. Il particolare ha convinto i nemici di Barbera che si trattasse di un piano preparato a magari per ribaltare l’annosa battaglia fra Venezia e Cannes. Sottolineato che la rivoluzione in corso è globale, è interessante vedere la ricaduta su Firenze, dove anche prima di questi eventi molti cinema tradizionali erano morti o sopravvivevano a stento.
Il primo atto di rottura è stata la proiezione al Flora (con ottimi incassi) del già citato Sulla mia pelle. La decisione di lanciarlo in sala, nonostante la contemporanea in rete, è stata presa a livello nazionale da Andrea Occhipinti, che oltre ad essere il presidente-padrone della Lucky Red (ottima casa distributrice) era sino all’inizio di settembre anche il presidente dell’Anica (per esteso Associazione nazionale Industrie cinematografiche audiovisive multime-
Scenari Considerando che la rivoluzione in corso è globale, bisogna prevedere anche qui le possibili ricadute
diali). Sul vocabolo multimediale si poggia appunto Occhipinti. Ma i suoi colleghi hanno scritto comunicati di fuoco definendo incompatibili le uscite contemporanee sala-streaming. Occhipinti ha preso atto e si è dimesso dalla carica, senza batter ciglio, deciso a continuare sulla sua strada, per così dire meticcia.
Ora per tornare a Firenze, sarà interessante vedere l’atteggiamento della categorie coinvolte; i distributori e gli esercenti in testa. E sarà importante anche la reazione dei politici competenti, ovvero a parte Nardella e il Comune di Firenze, anche la Regione con l’assessorato alla cultura, la Mediateca e la Fondazione Sistema Toscana, che coordinano le vicende del cinema. La battaglia contro Netflix è inutile e passatista come ritiene il direttore di Venezia («Come può uno scoglio arginare il mare?») o è una sacrosanta guerra di Resistenza come sostengono quelli di Cannes? Sarebbe utile aprire un dibattito. Di sicuro, pensando alla nostra città, la crociata contro la costruzione della Multisala di Novoli (a cui anch’io contribuii in piccola parte) sembra una cosa da passato remoto, ormai con poca significanza.
Perché pure le Multisale dovranno confrontarsi con
Netflix, arrendersi o patteggiare. La mia sensazione è che il futuro non si possa fermare (basta osservare i numerosi spettatori di oggi, che in sala non guardano il film e giocano con il telefonino) ma che sarebbe opportuno arrivare a un ragionevole accordo,a un punto di equilibrio. Dicono che gli stessi dirigenti di Netflix sono divisi: e che alcuni puntano su possibili uscite
theatrical (ovvero anche nelle sale tradizionali) dei loro prodotti; si spera sul libero mercato e non solo in locali di loro proprietà. Diceva il saggio Mario Monicelli in una delle sue ultime interviste che il cinema non morirà sicuramente (è un modo di raccontare le cose della vita) ma che al massimo cambierà la maniera (i luoghi) di vederlo.
All’interrogativo più drastico (fra un po’ di tempo noi amanti del cinema in sala, saremo tutti estinti?) si può sfuggire, trovare una via di fuga fra le alte onde da tempesta perfetta. Senza dimenticare che a Firenze circola una certa nostalgia per un’epoca che stiamo perdendo: è da poco uscito un librone, Il primo cinema non si scorda mai, (lo racconta Enrico Nistri qui accanto, ndr) curato da Fabrizio Borghini e Luca Giannelli che raccoglie un sacco di pareri di appassionati cittadini (fatalmente di una certa età) sulla loro sala del cuore. È un catalogo di luoghi smarriti, spazi perduti senza più collare. Alcuni sono di ere lontanissime; altri sono stati chiusi da poco; il più recente mi sembra il Fulgor, ma potrei sbagliare, troppi sono i caduti. Senza farsi prendere da un’inutile desiderio del secolo passato, può servire da riferimento un altro bel libro sui cinema fiorentini, uscito nel 2009. È stato scritto da Piero Batignani e il titolo, Vestiti andiamo al cinema, suona a tempo stesso come un augurio e un lamento; comunque è un buon antidoto a una vita da mangiatore di cinema solitario, consumata a testa bassa, triste prigioniero davanti allo schermo del computer di casa.