UN ANGOLO DI SILENZIO NEL BRULICAME DI PIAZZA SANTA CROCE
Mi scrive una lettrice chiedendomi di scrivere di largo Piero Bargellini: quasi mi coglie di sorpresa, poiché, non essendo il «largo», per ovvie ragioni, incluso nello stradario bargelliniano che da sempre è tra i miei modelli, ho impiegato qualche minuto a localizzarlo nel lato della basilica di Santa Croce, quello coi portici, già immortalato dal Signorini. Devo dire però (e lo dico promettendo una prossima trattazione del largo in questione) che, una volta giunto sul posto, la mia attenzione è stata risucchiata da via San Giuseppe.
Direttrice delle più inusuali, colpisce per la rapidità con cui, dritta e filante, sfugge alla bolgia turistica cui è da tempo ridotta la zona per proiettarsi verso vari e diversi altrove. Superate infatti quel paio di pelletterie e pizzerie di rigore, il carattere muta lesto, complici anche le «casette» che furono nel ’200 quel che sono i piani di edilizia popolare oggi, ma anche per altre e più arcane vestigia, che stupisce non abbiano ancora ispirato qualche giallista storico, e che trovano oggi segnacolo in un apparentemente anonimo tabernacolo all’angolo con via dei Macci. La via si chiamava infatti via del Tempio, per la presenza di una sede — detta appunto Tempio — dei Cavalieri Templari, annessa al loro spedale. Dopo la soppressione dell’ordine, tra roghi e accuse di idolatria che videro cadere qualche testa anche a Firenze, la via cambiò nome, diventando via del Tabernacolo, e ne vide poi, nei suoi vari tratti, diversi altri: via della Giustizia e poi via de’ Malcontenti, odonimo mantenuto dalla sua continuazione, per via dei condannati a morte che, partiti dal Bargello o dalle Stinche, passavano da qui per andare alle forche; via del Crocifisso; via di San Noferi; alla fine si assestò sul nome di via San Giuseppe, per la chiesa omonima, dove la via si conclude su un altro e più notevole tabernacolo, usato al tempo della peste per le messe all’aperto, ed è forse quest’aura funesta, come una traccia karmica lasciata da appestati, condannati a morte e cavalieri templari finiti al rogo, a dare alla via il suo carattere silenzioso e lapidario, del tutto avulso dal bulicame di Santa Croce — e anche un bel po’ corroborante: non per latenti penchant per il gotico o il truculento, ma per la spontanea preferenza, da parte del fiorentino che ancor oggi si ostina a vivere in centro, delle anime dei morti rispetto agli zainetti e ai panini dei vivi.