Corriere Fiorentino

Beato e Angelico, un pittore fra uomini e santi

- di Enzo Fileno Carabba

Pubblichia­mo un estratto della «Vita» di Beato Angelico, riscritta, partendo dal testo di Vasari, da Enzo Fileno Carabba per il «Corriere Fiorentino» e letta ieri al Museo di Casa Vasari. Prossimi appuntamen­ti: 18 e 25 ottobre. Posti limitati, per prenotare: 055 217704 (9-13 e 15-18, da lunedì a venerdì)

Fra’ Giovanni da Fiesole cominciò giovanissi­mo a dipingere personaggi assorti nella grazia, frastornat­i dalla luce. Una volta mangiò col Papa che gli offrì della carne e lui non sapeva se accettarla, dato che non aveva avuto il permesso del priore. Era così immerso nella regola da essere libero: si era scordato dell’autorità del Papa. Amava sorvolare su tutto, forse anche per questo più tardi fu detto Angelico, e successiva­mente Beato. Gli facevano schifo le azioni del mondo e preferiva essere lasciato in pace. Avrebbe potuto comandare a molti, gli sembrò un’inutile fatica. Non si arrabbiò mai con gli altri frati e questo io stento a crederlo ma non posso escluderlo.

Quando arrivò a San Marco aveva già realizzato opere di cui è impossibil­e saziarsi, ma nel convento fece qualcosa di unico. Affrescò tutte le 44 celle dei frati e alcuni degli spazi comuni. (...) C’era un frate che reagiva a tutto, si sentiva sempre provocato. Fra’ Giovanni nella sua cella dipinse un Cristo deriso che riceve sputi, bastonate, schiaffi. Però resta tranquillo. Per Lui, non sembra una questione personale. L’affresco raffigura contempora­neamente atti successivi: in questo modo la pittura supera l’intralcio del tempo. (...) Parlò con un altro, che aveva paura del futuro. Allora dipinse nella sua cella la scena in cui l’angelo è presso il sepolcro vuoto di Gesù e dice alle pie donne: «Non abbiate paura». A sinistra c’è San Domenico. In tutti gli affreschi destinati alla meditazion­e c’è San Domenico oppure qualche altra figura che, nella realtà storica, non poteva essere dentro la scena. E questo vuol dire che la scena è una visione di quella figura e che il frate stesso deve avere una visione. Anche in questo affresco Fra’ Giovanni fu aiutato dall’allievo prediletto. «Andava bene maestro?». «Benozzo, Benozzo» rispose Fra’ Giovanni con il suo sorriso beato.

Quando arrivarono alle celle dei novizi, le figure di Fra Giovanni si fecero ancora più semplici. Il paesaggio tendeva a sparire, l’esistenza a splendere lieve, come certi attimi di felicità. L’allievo prediletto, sgomento, chiese spiegazion­i con gli occhi. «Non devi descrivere» rispose Fra’ Giovanni, «devi curare». (...)

Nelle celle dei novizi, rappresent­ò molte volte lo stesso soggetto: Gesù crocifisso, con sotto San Domenico che prega. «Ridotte all’essenziale, le cose sono le cose ma anche qualcos’altro» spiegò all’allievo. Si chiese come si sarebbe dipinto Gesù. Le diverse posizioni di San Domenico corrispond­ono ai diversi modi di pregare, che il Santo stesso caldeggiav­a. Nella cella di un frate che non credeva più in se stesso Fra’ Giovanni dipinse San Domenico che prega con le braccia spalancate, che sarebbe il sesto modo, quello in cui chiedi aiuto a Cristo per un’impresa eccezional­e. In quella di un frate che non riusciva a sentirsi in colpa San Domenico è steso a terra, e questo è il secondo modo, quello in cui si esprime un desiderio di penitenza. «Guardalo, un giorno sentirai questo desiderio anche tu. Forse».

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