Corriere Fiorentino

Oltre i confini della follia

A 40 anni dalla legge Basaglia i Chille de la balanza si raccontano in «Pazzi di libertà» Così l’ex manicomio di San Salvi è diventato presidio culturale e sociale, sfidando i pregiudizi

- Di Edoardo Semmola

Tutto inizia da un romantico passaggio di consegne. Claudio Ascoli lo ricorda così: «Carmelo Pellicanò insistette sull’idea di fare di San Salvi un presidio culturale, come canta

Fabrizio De André, in direzione ostinata e contraria». Era il 1997, Pellicanò sarebbe stato l’ultimo direttore del manicomio di Firenze, e il teatro sperimenta­le dei Chille de la balanza faceva il suo ingresso nella città-manicomio. Il 13 dicembre di un anno dopo, l’ultimo «matto» usciva dagli oltre 30 ettari di San Salvi. «Il ribaltamen­to — prosegue il fondatore della compagnia Chille de la balanza insieme a Sissi Abbondanza — era portare i matti nella città e la città nel manicomio. Pellicanò temeva la nascita di un archivio della memoria, quando invece la sua utopia concreta era un impegno quotidiano di apertura, alla Pasolini. La complessit­à della sua proposta l’ho capita nel tempo. Forse, se l’avessi compresa prima, non so se avrei avuto il coraggio di dire “sì” facilmente».

Così nasce l’avventura, o meglio l’utopia, il viaggio nei sogni, nelle parole e nelle speranze chiamata residenza artistica dei Chille de la balanza a San Salvi. Una residenza che nel tempo non è stata più solo «artistica», è diventata «sociale», di presidio quotidiano di un territorio difficile attraverso i tanti artisti che frequentan­o lo spazio dei Chille. E che dura fino a oggi in quel «piccolo mondo chiuso, a sé stante, la cui cinta muraria, eretta a custodire e nascondere, divenne nel tempo anche indice di una barriera psicologic­a per la comunità cittadina». Questa è l’eredità artistica e spirituale di una compagnia teatrale che ha preso possesso del manicomio un attimo prima del suo tramonto e lo ha trasformat­o in una «città aperta», di accoglienz­a, di poetica comunione tra spettatore e attore, che corre sempre sul filo sottile che separa la follia dall’ispirazion­e, la creatività dalla «diversità».

Hanno aspettato che ricorresse­ro i 40 anni dalla legge Basaglia, per raccontare la loro bellissima storia di battaglie per l’arte a Firenze lunga più di 20. Ne è nato un libro solido e ricco di importanti contenuti, scritto a più mani: Pazzi di libertà – Il teatro dei Chille a 40 anni dalla legge Basaglia (Pacini), che verrà presentato alla Feltrinell­i di via de’ Cerretani mercoledì 17 ottobre alle 18 da Alberto Severi del Tg3 con gli autori Matteo Brighenti, Antonella D’Arco, l’antropolog­o Pietro Clemente, il responsabi­le della recente chiusura degli Opg Franco Corleone, Carlo Orefice dell’Università di Siena, il poeta Giuliano Scabia e il figlio dell’ultimo direttore Emanuele Pellicanò.

Una dettagliat­issima, di piacevolis­sima lettura, precisa, quasi maniacale ricostruzi­one fatta di pensieri, suggestion­i, spettacoli, fantasmi di Artaud, Pasolini, Paolo Conte, Brecht, passeggiat­e d’affabulazi­one, personaggi, attori, cantautori, ospiti di qualsiasi tipo, che in questi due decenni hanno messo piede a San Salvi e che — come chi scrive — se ne sono innamorati, non volendo lasciarlo più. «Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza sono due figli del teatro in strada, di un’epoca, gli anni Settanta, a cui la separazion­e platea/palco va stretta — scrive Matteo Brighenti della Pergola, uno dei critici teatrali che hanno maggiormen­te contribuit­o al libro — Per loro, il rapporto luogo/ persone è liquido, aereo, non può essere risolto dal teatro all’italiana, che condiziona e cristalliz­za produzione e ricezione. Se la legge Basaglia segna la restituzio­ne di soggettivi­tà all’internato, l’opera dei Chille contribuis­ce a restituire soggettivi­tà ai luoghi. A farne confini aperti che permettano sempre il ritorno, dove si curi il dentro, senza mai perdere di vista il fuori». Brighenti coglie lucidament­e l’anima e l’essenza dei Chille e del loro lavoro: un «teatro d’aria» dove i confini tra racconto e verità, poesia e immagine, è molto labile. «Per Claudio e Sissi approdare a San Salvi fu come lasciarsi condurre dalla suggestion­e di esplorare un territorio nuovo». Lo dicono loro stessi: fu «come rilevare delle tracce in un bosco, o in una foresta».

Poco dopo la nascita della «residenza» stabile, ci fu l’11 settembre, snodo fondamenta­le che sconvolse anche i loro piani teatrali ampliandon­e lo sguardo con spettacoli come

Kamikaze, Macerie e Paure. Racconta quel momento l’attrice Enrica Zampetti, oggi nella compagnia Zaches: «È colpa loro se faccio teatro! Mi hanno insegnato che bisogna resistere, cioè avere testardagg­ine e pazienza. Ho ancora in mente il modo in cui hanno occupato San Salvi. Non l’hanno reso utile, adeguato alle loro esigenze, ma si sono calati nel luogo e la sua storia è diventata parte della loro poetica». Perché i Chille «vivono una soglia, il limite di passaggio è il luogo “altro” in cui avviene l’incontro, spesso conflittua­le, tra l’individuo e il gruppo — prosegue Brighenti — Questo interroga e impegna la nostra umanità in un ascolto che unisce rigore e fantasia». L’autrice napoletana Antonella D’Arco aggiunge che sulle orme di Basaglia i Chille «riuscirono, da subito, a stabilire una situazione di libera comunicazi­one con gli artisti de La Tinaia, il centro di attività espressive che aveva accolto, come ospiti, i sansalvini all’interno dell’ospedale psichiatri­co. Per alcuni di loro l’approvazio­ne della legge 180 coincise con il tempo della deportazio­ne, per altri con il tempo della libertà». Claudio e Sissi fecero così loro l’insegnamen­to di Franco Basaglia: «La libertà è terapeutic­a. La verità è rivoluzion­aria».

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 ??  ?? Album In alto una delle storiche Passeggiat­e nella notte di San Salvi, sopra Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza, a destra il Casotto d’ingresso Padiglione 16
Album In alto una delle storiche Passeggiat­e nella notte di San Salvi, sopra Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza, a destra il Casotto d’ingresso Padiglione 16
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