Oltre i confini della follia
A 40 anni dalla legge Basaglia i Chille de la balanza si raccontano in «Pazzi di libertà» Così l’ex manicomio di San Salvi è diventato presidio culturale e sociale, sfidando i pregiudizi
Tutto inizia da un romantico passaggio di consegne. Claudio Ascoli lo ricorda così: «Carmelo Pellicanò insistette sull’idea di fare di San Salvi un presidio culturale, come canta
Fabrizio De André, in direzione ostinata e contraria». Era il 1997, Pellicanò sarebbe stato l’ultimo direttore del manicomio di Firenze, e il teatro sperimentale dei Chille de la balanza faceva il suo ingresso nella città-manicomio. Il 13 dicembre di un anno dopo, l’ultimo «matto» usciva dagli oltre 30 ettari di San Salvi. «Il ribaltamento — prosegue il fondatore della compagnia Chille de la balanza insieme a Sissi Abbondanza — era portare i matti nella città e la città nel manicomio. Pellicanò temeva la nascita di un archivio della memoria, quando invece la sua utopia concreta era un impegno quotidiano di apertura, alla Pasolini. La complessità della sua proposta l’ho capita nel tempo. Forse, se l’avessi compresa prima, non so se avrei avuto il coraggio di dire “sì” facilmente».
Così nasce l’avventura, o meglio l’utopia, il viaggio nei sogni, nelle parole e nelle speranze chiamata residenza artistica dei Chille de la balanza a San Salvi. Una residenza che nel tempo non è stata più solo «artistica», è diventata «sociale», di presidio quotidiano di un territorio difficile attraverso i tanti artisti che frequentano lo spazio dei Chille. E che dura fino a oggi in quel «piccolo mondo chiuso, a sé stante, la cui cinta muraria, eretta a custodire e nascondere, divenne nel tempo anche indice di una barriera psicologica per la comunità cittadina». Questa è l’eredità artistica e spirituale di una compagnia teatrale che ha preso possesso del manicomio un attimo prima del suo tramonto e lo ha trasformato in una «città aperta», di accoglienza, di poetica comunione tra spettatore e attore, che corre sempre sul filo sottile che separa la follia dall’ispirazione, la creatività dalla «diversità».
Hanno aspettato che ricorressero i 40 anni dalla legge Basaglia, per raccontare la loro bellissima storia di battaglie per l’arte a Firenze lunga più di 20. Ne è nato un libro solido e ricco di importanti contenuti, scritto a più mani: Pazzi di libertà – Il teatro dei Chille a 40 anni dalla legge Basaglia (Pacini), che verrà presentato alla Feltrinelli di via de’ Cerretani mercoledì 17 ottobre alle 18 da Alberto Severi del Tg3 con gli autori Matteo Brighenti, Antonella D’Arco, l’antropologo Pietro Clemente, il responsabile della recente chiusura degli Opg Franco Corleone, Carlo Orefice dell’Università di Siena, il poeta Giuliano Scabia e il figlio dell’ultimo direttore Emanuele Pellicanò.
Una dettagliatissima, di piacevolissima lettura, precisa, quasi maniacale ricostruzione fatta di pensieri, suggestioni, spettacoli, fantasmi di Artaud, Pasolini, Paolo Conte, Brecht, passeggiate d’affabulazione, personaggi, attori, cantautori, ospiti di qualsiasi tipo, che in questi due decenni hanno messo piede a San Salvi e che — come chi scrive — se ne sono innamorati, non volendo lasciarlo più. «Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza sono due figli del teatro in strada, di un’epoca, gli anni Settanta, a cui la separazione platea/palco va stretta — scrive Matteo Brighenti della Pergola, uno dei critici teatrali che hanno maggiormente contribuito al libro — Per loro, il rapporto luogo/ persone è liquido, aereo, non può essere risolto dal teatro all’italiana, che condiziona e cristallizza produzione e ricezione. Se la legge Basaglia segna la restituzione di soggettività all’internato, l’opera dei Chille contribuisce a restituire soggettività ai luoghi. A farne confini aperti che permettano sempre il ritorno, dove si curi il dentro, senza mai perdere di vista il fuori». Brighenti coglie lucidamente l’anima e l’essenza dei Chille e del loro lavoro: un «teatro d’aria» dove i confini tra racconto e verità, poesia e immagine, è molto labile. «Per Claudio e Sissi approdare a San Salvi fu come lasciarsi condurre dalla suggestione di esplorare un territorio nuovo». Lo dicono loro stessi: fu «come rilevare delle tracce in un bosco, o in una foresta».
Poco dopo la nascita della «residenza» stabile, ci fu l’11 settembre, snodo fondamentale che sconvolse anche i loro piani teatrali ampliandone lo sguardo con spettacoli come
Kamikaze, Macerie e Paure. Racconta quel momento l’attrice Enrica Zampetti, oggi nella compagnia Zaches: «È colpa loro se faccio teatro! Mi hanno insegnato che bisogna resistere, cioè avere testardaggine e pazienza. Ho ancora in mente il modo in cui hanno occupato San Salvi. Non l’hanno reso utile, adeguato alle loro esigenze, ma si sono calati nel luogo e la sua storia è diventata parte della loro poetica». Perché i Chille «vivono una soglia, il limite di passaggio è il luogo “altro” in cui avviene l’incontro, spesso conflittuale, tra l’individuo e il gruppo — prosegue Brighenti — Questo interroga e impegna la nostra umanità in un ascolto che unisce rigore e fantasia». L’autrice napoletana Antonella D’Arco aggiunge che sulle orme di Basaglia i Chille «riuscirono, da subito, a stabilire una situazione di libera comunicazione con gli artisti de La Tinaia, il centro di attività espressive che aveva accolto, come ospiti, i sansalvini all’interno dell’ospedale psichiatrico. Per alcuni di loro l’approvazione della legge 180 coincise con il tempo della deportazione, per altri con il tempo della libertà». Claudio e Sissi fecero così loro l’insegnamento di Franco Basaglia: «La libertà è terapeutica. La verità è rivoluzionaria».