Corriere Fiorentino

IL VOLO DEL «13», OLTRE FIRENZE

- di Paolo Ermini

Una selva di abbracci. E lui che guarda al cielo, accenna a un sorriso e con le dita fa due numeri: «1» con la mano destra e «3» con la sinistra: «13», cioè Davide Astori. La sua maglia, il suo ricordo. È finita così Polonia-Italia: con gli Azzurri salvati dalla retrocessi­one nella serie B della Nations League grazie al difensore della Fiorentina, il migliore in campo, ma soprattutt­o con la dedica della vittoria al capitano viola. In un abbraccio che sembra infinito.

Non era mai accaduto, forse, che la scomparsa di un giocatore desse un’impronta tanto marcata a un mondo del calcio che sembrava tutto cinismo e business e che invece, improvvisa­mente, proprio nell’omaggio ad Astori ha ritrovato valori profondi. O meglio: sprofondat­i, ma ancora vivi. Facciamo giornalism­o, non sociologia. Però fa riflettere questo flusso ininterrot­to di affetto che è andato ben oltre i confini di Firenze. Solo pochi giorni il nuovo capitano della Fiorentina, German Pezzella, aveva festeggiat­o alla stessa maniera di Biraghi il suo primo gol per l’Argentina. «1» e «3»: Davide Astori, sempre lui, anche per le curve bollenti del Sud America. E, ieri, Victor Hugo nell’intervista al Corriere Fiorentino ha detto: «Ogni squadra gioca per un obiettivo: noi giochiamo per Davide, e per lui vogliamo tornare in Europa».

Super pagati, ricercati come gli attori più popolari, celebrati negli spot come se fossero stadi: i giocatori — e non solo a Firenze — non sono diventati dei santi grazie alla fine di Astori, ma hanno mostrato un altro volto. Il volto dell’amicizia. Che è disinteres­sata o non è. Non sarebbe accaduto con chiunque, però. La differenza, come sempre, la fanno i tratti personali del carattere. Rompendo un silenzio che durava da quel maledetto 4 marzo, sul Corriere della Sera di domenica scorsa, la compagna di Davide, Francesca Fioretti, ha raccontato a Walter Veltroni la sua vita senza di lui, tutta proiettata a far crescere la piccola Vittoria nella serenità di una famiglia normale e solida. Scrive Veltroni: «Quel ragazzo, difensore forte e discreto, poche interviste e tanto talento, mi appare in alcuni video sullo schermo del telefono che Francesca mi mostra. Ci sono loro due, felicità e futuro, che si abbraccian­o sul divano sul quale ho appoggiato, e ora mi sembra un gesto improprio, il mio impermeabi­le».

Sembra un’altra Italia. Assai diversa da quella che ci sfila davanti ogni giorno. In Tv, sul web, per strada. Pacata, attenta ai significat­i di quello che si fa o si dice, ma con sentimenti robusti e determinat­a nelle sue aspettativ­e. Viene in mente una parola antica: fraternità. Un Paese senza astio. Rovesciato. Tutt’altro che alla rovescia.

Francesca nel suo colloquio con Veltroni non ha parlato di calcio, di tifo. Non ha parlato neppure di Firenze e della sua casa in centro. Solo un accenno al viaggio verso Milano, dove l’aspetta un lavoro. Eppure lei ci ha fatto rivedere Astori al Franchi, dritto in mezzo al campo. Concreto, elegante, misurato. Una figura priva di retorica che è diventata potentissi­ma nella sua simbolicit­à.

Con la tragedia di Udine per la Fiorentina cambiò tutto. E l’effetto Astori non è finito, con buona pace di chi diceva che l’emozione non produce mai svolte durature. Si va avanti, con il «13» che fa volare. Anche la Nazionale in cerca di riscatto. Firenze ha saputo trasformar­e un grande dolore in energia positiva. Non capita spesso.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy