«Strutture non adeguate e sovraffollamento: così sono nati i problemi»
Ma come si è arrivati alle due circolari della Prefettura che obbligano i migranti a rientrare nelle strutture entro le 20 e prevedono il controllo dei pacchi postali a loro destinati? Il racconto di un operatore di un centro di accoglienza, che preferisce restare anonimo, può aiutare a capire. «Se la questione è arginare la delinquenza di alcuni profughi, forse le cause profonde sono da ricercare in un sistema di accoglienza nato male, venutosi a creare in seguito all’emergenza sbarchi degli anni passati — dice — A quel tempo i profughi erano accolti in strutture sovraffollate e noi operatori non sapevamo dove metterli: le sale da pranzo venivano trasformate in camere da letto, i migranti dormivano l’uno vicino all’altro. Ma era l’unico modo per non lasciare i migranti sulla strada. Era la prefettura a chiederci di ospitarli, in un modo o nell’altro, seppur consapevole del sovraffollamento».
In quelle condizioni era difficile creare integrazione. Alcuni migranti finirono a delinquere. Sulla scia di quegli anni, si è arrivati ad oggi: i migranti sono meno, ma il sistema di integrazione, talvolta, risente di un meccanismo nato soprattutto per accogliere, con carenze dal punto di vista dell’integrazione. «È vero, non sempre le strutture offrono un servizio adeguato sul piano dell’integrazione, ma se alcuni profughi finiscono a spacciare, sono casi isolati, una piccola minoranza», ribadisce l’operatore sociale, secondo cui «per punire questa devianza di una piccola percentuale, non si possono punire indiscriminatamente tutti i profughi accolti limitando i loro orari di uscita. Se si sono problemi di spaccio e microcriminalità, che si vadano a risolverli nelle strade e nelle piazze dello spaccio, senza trasformare in prigioni i centri di accoglienza». Tanto più che nelle strutture, esistono già forme di controllo autonome: «Nei nostri centri, i migranti devono rientrare entro le 23. Ogni sera, prima di andare a letto, sono chiamati a firmare la loro presenza. In questo modo capiamo chi si è allontanato la notte. Di solito non si allontana nessuno. Se poi riscontriamo che uno degli ospiti manca da due giorni, scatta l’esclusione dal centro di accoglienza come prevede la prefet-tura». Ma il controllo, spiega l’operatore, «non possiamo esercitarlo in modo coercitivo, bensì socio-educativo. Per prevenire qualsiasi forma di devianza, noi coi profughi ci parliamo, li ascoltiamo. Il centro di accoglienza è come una grande famiglia, noi operatori stabiliamo coi nostri ospiti un rapporto di fiducia reciproca. Se adesso dobbiamo diventare secondini e obbligarli a tornare entro le 20, questo rapporto di fiducia rischia di fratturarsi».