Corriere Fiorentino

Bobby Solo al «Buh!» «Canto Johnny Cash»

Venerdì a Rifredi il live con i pisani BroadCash

- Edoardo Semmola

Emozioni «Celebriamo i 50 anni del mitico album dedicato ai carcerati della California»

È successo quasi per caso: «Nel ‘65 la Ricordi stava dismettend­o 150 vinili del catalogo Cbs. Pur di non vederli al macero, li ho comprati io. Tra quei dischi ce n’era una decina di Johnny Cash, è stato amore a prima vista». Parola di Bobby Solo che venerdì alle 22 inaugura la stagione del «Buh!» a Rifredi insieme alla tribute band de L’uomo in nero dell’Arkansas, i pisani BroadCash. Un concerto celebrativ­o dei 50 anni dell’album per eccellenza di Johnny Cash, pietra miliare del folkrock di tutti i tempi: Folsom Prison Blues. Che il cantautore americano volle organizzar­e per i detenuti del carcere di massima sicurezza in California, sfidando pregiudizi e benpensant­i, passando alla storia. «Poco dopo mi chiamarono dalla Germania perché Johnny e la moglie June Carter si esibivano in una base americana per i soldati — prosegue l’Elvis italiano — Mi ha dato la mano e rimasi di stucco nel notare che sembrava una bistecca alla fiorentina». Per tutti Roberto Satti in arte Bobby Solo, 73 anni di 55 vissuti sul palco, è l’Elvis italiano. Ma per lui è riduttivo: «Elvis, Willie Nelson e Johnny Cash sono i miei tre grandi amori, alla pari» e li ha suonati per anni. Poi «un anno fa ho incontrato per caso questi ragazzi giovani e bravissimi, i BroadCash, mi hanno invitato a Pisa a sentirli in concerto e ho fatto qualche pezzo con loro: grandi applausi e soddisfazi­oni. Da quel giorno ci siamo messi insieme e giriamo con questo progetto di cui tra poco esce il vinile». Johnny Cash sentiva un legame speciale con i carcerati, lui stesso è stato in galera un paio di giorni per questione di droga. «La mia droga è solo il caffé, ne abuso — scherza Bobby Solo — Credo fosse la sua insicurezz­a ad averlo condotto alla droga. Io sono un istintivo e le sue canzoni da Cry Cry Cry a Girl from North Country fatta insieme a Bob Dylan, mi danno un’emozione profonda, lo sento, lo vivo».

È ancorato al passato ma guarda anche al presente: «Ascolto tutti i nuovi artisti e apprezzo la musica di ogni tempo, però più invecchio e più ascolto musica anni Venti. Di quella di oggi l’unica cosa che non mi piace è l’eccessivo uso del computer per campionare gli strumenti: la musica è sentimento, i computer sono dei robot e i robot non hanno sentimenti. Finché non inventeran­no, dopo l’intelligen­za artificial­e, anche il sentimento artificial­e. Ma sarà sempre un surrogato».

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