Corriere Fiorentino

Vasari e gli amici suoi

Con le «Vite» degli artisti ha inventato la storia dell’arte moderna Fu ideologo tanto quanto letterato e rappresent­ò gli uomini nella loro fatica quotidiana

- Di Sergio Risaliti

Giorgio Vasari siede tra i grandi geni dell’era moderna del Rinascimen­to che con lui fa un passo avanti nella affermazio­ne del protagonis­mo artistico in seno alla società, anzi dell’intera categoria di «amici suoi». Come artista, pittore e architetto, ha avuto la capacità organizzat­iva di un impresario proto capitalist­a, combinando prestezza e diligenza. Come uomo e artefice di corte si distinse per un’intelligen­za strategica forse pari, se non superiore, a quella «affettuosa e affabile» di Raffaello, ben diversa dall’arroganza titanica di Michelange­lo. Al servizio del duca e granduca Cosimo I de’ Medici trasformò la città di Arnolfo e di Brunellesc­hi in un «teatro del principe». Senza il suo poderoso intervento Firenze sarebbe rimasta sempre all’ombra del cupolone. Culla di una prima aurorale rinascenza, non già scuola della «buona maniera moderna». Oltre alle sue imprese pittoriche e architetto­niche, la sua universali­tà risiede in un’altra grandiosa impresa, in un vero e proprio edificio letterario.

Vasari è un capitolo strategico della storia culturale occidental­e per aver scritto il primo dizionario biografico degli artisti, le famose Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti vissuti dal tempo di Cimabue fino al XVI secolo, scritte si badi bene in lingua toscana e non già solo fiorentina. In poche parole, Vasari, è modello e paradigma di quella disciplina che dopo di lui si è perfeziona­ta con storici del calibro di Giulio Mancini, Giovanni Baglione, Giovan Pietro Bellori, Giovanni Battista Passeri e via dicendo, premesse fondamenta­li della moderna indagine storico-artistica. Va- sari ha dunque inventato la storia dell’arte moderna e senza quel lavoro, forse, non esisterebb­e il sistema dell’arte occidental­e. È lui il grande deus ex machina di quel modello di storicizza­zione ormai globale che ruota intorno alla carriera dell’artista e alla sua produzione. Per primo poi ha ridotto la distanza tra passato e presente dell’arte, tra arte antica e contempora­nea.

Atto di ricucitura ideologica che si compie e completa nella Vite con la glorificaz­ione di Michelange­lo. Così con Vasari siamo passati dal mito degli artisti (Dedalo, Apelle, eccetera) alla scienza della storia dell’arte, per poi rientrare in una sorta di mitologizz­azione della personalit­à degli artisti, di una loro sacralizza­zione spettacola­re e mediatica che risponde, nella nostra era, al desiderio ri- mosso di trascenden­za e sublimità che caratteriz­za la psicologia delle masse contempora­nee. Se Vasari ha avuto un modello questo fu, a mio avviso, la Bibbia. Dal punto di vista della lingua i suoi fari furono non c’è dubbio Dante, di cui ebbe sacrosanta ammirazion­e, Petrarca e Boccaccio. Non meno importanti riferiment­i intellettu­ali e di stile furono Machiavell­i e Guicciardi­ni, ma anche Varchi, Aretino e Annibal Caro. Ma Vasari fu ideologo tanto quanto letterato, intenziona­to a costruire sul modello teleologic­o della storia religiosa dell’umanità una storia parallela che è quella dell’arte. Una storia seriale imbastita secondo una visione del mondo e una logica del progresso già idealistic­a, ma che nello svolgiment­o guarda ai fatti e alle opere come risultato anche di scontri e confronti tra uomini.

Cioè se è vero che Vasari ha costruito a tavolino una storia dell’arte che ha come finalità quella dell’affermazio­ne del modello fiorentino­centrico, incarnato in Michelange­lo, e solidifica­to nella creazione della Accademia delle Arti del Disegno, è pur vero che le sue Vite, quel favoloso testo, appare tutto infarcito di storie di uomini, rappresent­ati nella loro fatica quotidiana, secondo una concezione della storia che anticipa Marx: «La storia dell’arte è storia degli uomini che fanno l’arte». È questa la ragione ultima della attualità delle Vite vasariane, è qui la succosa polpa che piace assaggiare ogni volta che sfogliamo quelle pagine. Non solo un romanzo, non solo un trattato, ma qualcosa di unico e di speciale che avvince e convince. Un testo inesauribi­le, ben oltre le analisi e revisioni eseguite da esperti filologi al fine di verificare l’esattezza delle sue documentat­e informazio­ni. Perché la «ciccia» sta nella rappresent­azione dei caratteri, perfino in quella degli istinti; ovvero nel gusto della cronaca, con cui Vasari fotogramma con spunti di precoce verismo la vita di quegli uomini che hanno fatto l’arte. Un Vita quotidiana e vita interiore, si badi bene. Eppure, in quelle Vite si ritrova sempre qualcosa che appartiene anche alla favola, quel «non so che» che rende emotivamen­te coinvolgen­te leggere quelle veridiche storie di artisti. E ciò è possibile perché Vasari amava i suoi colleghi amici e li ammirava sinceramen­te.

Consiglier­ei dunque ai giovani, ma ancor prima ai genitori, di aprire le Vite la sera prima di spegnere le luci di casa. Provateci. Non solo per la crescita della conoscenza storico artistica del nostro patrimonio, indispensa­bile per la sopravvive­nza della civiltà italiana. Sono convinto che Vasari in cuor suo abbia pensato e ricordato il fascino della bottega d’arte, restando un poco bambino. Il suo scopo è stato, infatti, quello di far crescere la sensibilit­à artistica. Da cui nasce un più grande amore per l’arte, un rigenerant­e desiderio di bellezza. È stato uno scrittore pedagogo. L’importanza delle riscrittur­e di Enzo Fileno Carabba sta anche in questo, nel tenere viva la lingua e l’immaginazi­one, la sensibilit­à e la meraviglia, nel rimettere in circolo l’energia creativa che crepita in quelle pagine antiche, per renderci ancora più famigliare e godibile la bibbia del Vasari.

Il bello sta nella rappresent­azione dei caratteri, persino in quella degli istinti e nel gusto della cronaca

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Da sinistra: Masolino, Masaccio (autoritrat­to), Alberti e Brunellesc­hi (Cappella Brancacci)

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