Ha ridotto la figlia in schiavitù, ora chiede i domiciliari E il Tribunale prende tempo
L’uomo, condannato per riduzione in schiavitù, chiede i domiciliari. Il tribunale prende tempo
Rischia di lasciare il carcere l’uomo di etnia rom condannato per aver segregato, promesso in sposa e venduto la figlia di 13 anni, in cambio di 15 mila euro. Il cinquantenne serbo di Obilic attraverso il difensore Marco Ammannato ha chiesto di essere ammesso ai domiciliari, nella sua abitazione nel quartiere delle Piagge dove vivono moglie, figli e nipoti. La Corte d’assise si è riservata di decidere, nell’attesa di verificare la disponibilità di un braccialetto elettronico e capire chi abiti effettivamente in quella casa. Ma la Procura antimafia, che ha coordinato le indagini, si è opposta: è ancora pericoloso, la custodia in carcere è indispensabile. E ha lanciato l’allarme: occorre impedire che l’imputato, specie dopo la sentenza di condanna a 13 anni per riduzione in schiavitù, «fugga e metta in atto azioni ritorsive violente nei confronti della figlia e dei nipoti».
È stata infatti Mina, segregata in casa per 3 anni perché rimanesse illibata fino al matrimonio con un ragazzo franco-kosovaro, a trovare la forza di ribellarsi. Ha raccontato la sua storia a un coetaneo siciliano conosciuto sulla chat di un gioco che ha finito per salvarla. Sempre lei, poi ha denunciato il padre, che, a suon di botte e minacce, l’aveva costretta a rinunciare alla scuola e agli amici e ad accudire la madre e i nipoti. L’uomo, nel settembre 2017, è finito a Sollicciano. L’ex sposa bambina ormai ha compiuto 18 anni e da due vive in una struttura protetta. In quella comunità, che doveva rimanere segreta, è stata rintracciata per tre volte dai parenti. E per tre volte è stata costretta a cambiare città. Per questo, secondo la Procura, gli arresti domiciliari, anche con l’ausilio del braccialetto elettronico, non bastano: sono «inadeguati» poiché l’uomo per tentare la fuga «potrebbe avvalersi non solo della collaborazione dei familiari, sui quali esercita un potere assoluto di disposizione», ma anche di amici dislocati in tutto il mondo «che più volte gli hanno espresso vicinanza e si sono dichiarati disponibili ad assecondare qualunque tipo di richiesta, compresa quella di trovargli una casa per trasferirsi all’estero». Le indagini e il processo, secondo la Procura, hanno dimostrato che l’imputato ha «un temperamento violento e prevaricatore, bada solo ai propri bisogni di natura economica ed è totalmente insensibile alle necessità e alle sofferenze della figlia». Mina, che è tornata sui banchi di scuola con ottimi risultati, dopo la condanna del padre si sentiva al sicuro. Ma ora ha di nuovo paura. «La sostituzione della misura esporrebbe la giovane a seri rischi per la sua incolumità — spiega l’avvocato Elena Navello legale della diciottenne — Non si può trascurare che anche negli ultimi mesi il padre, attraverso la famiglia, ha tentato di scoprire la nuova collocazione della figlia, prendendo contatto con la struttura protetta».
La Procura
«Individuo pericoloso. Occorre impedire che l’imputato fugga e metta in atto azioni ritorsive violente nei confronti della figlia e dei nipoti»