«I miei anni con la Signora della moda»
Il ricordo di Giornetti, ex stilista della maison Ferragamo: «Insieme a cercare il bello»
Ha lavorato in Ferragamo per sedici anni e per sei ne è stato anche direttore creativo. Massimo Giornetti ricorda Wanda, «la Signora Ferragamo» e la sua ostinazione a lottare contro il brutto estetico, contro il cattivo gusto. «L’abitudine al brutto estetico e sociale era la cosa che maggiormente temeva. Ricordo il suo armadio degli orrori, un monito a non sbagliare».
❞ L’abitudine al brutto estetico e sociale, alla mancanza di una forma che è anche sostanza era forse una delle cose che maggiorme nte temeva. Mai seguire il cattivo gusto, diceva
Fino al 2016 e per 16 anni ha lavorato in Ferragamo ricoprendo dal 2010, il ruolo di direttore creativo della Maison. E per lui Wanda Ferragamo è «la Signora Ferragamo», con la S maiuscola.
«Alla Signora Ferragamo — racconta Massimiliano Giornetti — devo tutto quello che sono oggi. La capacità di guardare il presente in continua evoluzione, senza nostalgie per un passato da valorizzare con senso critico e sentimento di appartenenza. Devo la consapevolezza che fare un buon prodotto e farlo bello non è mai facile ma che può bastare l’osservazione della natura o dell’arte per avere un suggerimento utile a ricreare un’armonia». Massimiliano Giornetti racconta e ricorda.
«La prima volta che la incontrai a Palazzo Spini Feroni non avevo scarpe da ginnastica e jeans perché tutti sapevano che la Signora sul lavoro gradiva un dress code ben preciso». «Mai invadente nel determinare lo stile e le collezioni — continua Giornetti — la Signora Ferragamo aveva uno scambio costante con il contemporaneo. Catturava il presente con tutti gli strumenti che aveva a disposizione e stava ben attenta a quello che accadeva intorno a lei e nel mondo. Raccoglieva gli articoli di giornale e leggeva in diverse lingue tutti i giorni. Eppure riusciva a rimanere sempre coerente e a non farsi condizionare. Soprattutto, teneva a mantenere integra l’identità del marchio per garantire, a chi entrasse in un negozio Ferragamo, il contatto con un prodotto italiano simbolo di un’eleganza fatta di gusto e moderazione».
Il conformismo al ribasso, l’abitudine al brutto estetico e sociale, alla mancanza di una forma «che è anche sostanza», era forse una delle cose che temeva di più e che le facevano orrore. Tra i suoi moniti c’era sempre quello a non seguire il cattivo gusto. Non era una critica alla modernità ma un no alla mancanza di contenuto e di armonia, a quel carico di eccesso che nella sua visione diventava elemento di disturbo. «Guarda la natura, mi diceva, o l’arte, e troverai la perfezione. Ma tanta attenzione — sottolinea lo stilista — era anche per gli artigiani di Firenze, per la loro capacità di realizzare creazioni uniche. Con il suo aplomb, l’immancabile collana di perle, il tailleur perfettamente abbinato ai foulard, era una donna dotata di un’aurea magica che si avvertiva quando varcavi la soglia della sua stanza. Donna senza pieghe, dal piglio deciso e sicuro, curiosa, attenta e determinata» per cui fare moda è sempre stato una questione molto seria. «Non perché è un best seller, è un buona scarpa, mi disse una volta davanti all’armadio del suo studio adibito a “museo degli orrori” facendomi vedere come non avrei dovuto fare la punta ad una calzatura». Già un museo degli orrori. Wanda Ferragamo era talmente attenta al «ben fatto» da avere creato nel suo ufficio a Palazzo Spini Feroni, che era un po’ come la sua seconda casa, un luogo dove amava collezionare le creazioni più brutte della moda acquistate in giro per il mondo. «Insomma teneva il brutto come monito alla difficoltà del saper fare il bello».