La canzone di Fiume e l’elogio di D’Annunzio
«Mio carissimo Mario, proprio l’altra sera mi fu ricantata la bella e fatale canzone di Fiume, così ripensai alle altre tue musiche, quasi condotto dal presentimento di questa nuova musica che mi mandi, nata dal mare, solitaria come un’isola mistica, con le radici dell’arte severa dei grandi maestri, con certi echi della Sistina e del suo popolo sospeso». Gabriele D’Annunzio così scriveva a Mario Castelnuovo Tedesco nel 1937, dimorante a Castiglioncello alla villa del Ginepro, dove era il gruppo dei Milani-Comparetti, di cui era parte, da bambino, il futuro don Lorenzo di Barbiana. Il dono di cui parla il Vate era uno spartito a lui dedicato, Goccius, con testo sardo che narrava il destino di Sant’Efisio. A recarla al Vittoriale era stata Memmi Corcos Strozzi, ribattezzata Solalba, che spesso si recava a Gardone per esperimenti spiritici. Il brano, a cui lo scrittore faceva riferimento, è Fuori i barbari!, dedicato all’esperienza fiumana; a lui fece riferimento il compositore, di famiglia ebraica, quando le sue musiche vennero vietate per le leggi razziste e di lì a poco prese la via dell’esilio americano. A 50 anni dalla sua morte, questa storia è ora raccontata nel libro di Alessandro Panajia, nel volume Ad Ariel con un ramo di ginepro, mentre molte sono le proposte dedicate al compositore fiorentino, tra la riproposta dei suoi scritti critici e la pubblicazione della biografia.