Corriere Fiorentino

Antonello de Curtis racconta il mito senza maschere

Il nipote Antonello Buffardi de Curtis oggi a Firenze presenta il libro dedicato al nonno «Girava in cadillac e faceva spruzzare il profumo sui soldi. Quanta gelosia per Diana, toscanacci­a adorabile»

- di Chiara Dino

Ci sono nonni e nonni. Totò non era un nonno facile. Anche se a chiamarsi de Curtis qualcosa si guadagna. Per esempio «il fatto che ovunque io vada mi si aprono le porte. E non solo a Napoli». Antonello Buffardi de Curtis, parla, parla e parla. Ti guarda coi suoi grandi occhi scuri, che sono identici, con quel taglio all’ingiù, a quelli dell’attore napoletano per eccellenza, vera maschera della commedia all’italiana del Novecento. È figlio di Liliana — che è figlia di Totò e di Diana Bandini Lucchesini Rogliani, la malafemmin­a fiorentina moglie del principe nato povero al Rione Sanità — e di Gianni Buffardi, produttore, regista,sceneggiat­ore, insomma uomo di cinema e di spettacolo. Lo spettacolo e la vita sregolata ce li ha tanto nel sangue che, per sancire questa sua esistenza sopra le righe, adesso sta dando alle stampe un libro dedicato ai tre nonni: Totò, certamente, Carlo Ludovico Bragaglia, patrigno del suo babbo, anche lui regista e fotografo, e Salvatore Buffardi, secondo marito di nonna Assuntina, uno che per inseguire un Caravaggio ci ha rimesso una fortuna.

Per dire: erano tutti un poco sui generis questi suoi parenti. Antonello è a Firenze per promuovere un altro suo libro, Totò Metà-Fisico, scritto con Gianluca Tenti e corredato da foto di Massimo Sestini, un omaggio al nonno più celebre che oggi presenterà alla Trattoria Moderna in Lungarno del Tempio 52 con i due co-autori. Ci siamo incontrati in redazione e ha fatto show, spaziando tra ricordi che riaffioran­o alla memoria disordinat­i, per flashback. «Il nonno lo vedevo spesso tornando da scuola — racconta — con mia mamma che lo incontrava ogni giorno. Lui era un uomo malinconic­o e di poche parole. Era ombroso e non ricordo suoi abbracci. A ripensarci oggi mi mancavano. Però c’erano dei riti che scandivano i nostri incontri. Se veniva da noi io lo aiutavo a togliere e indossare il cappotto. Era una questione di ruoli, per lui, uomo elegantiss­imo erano essenziali. E poi non mancava mai di condivider­e con me quell’ossessione del titolo nobiliare. Ricordati che sei un conte diceva». Il rapporto con l’araldica del principe era complicato. Fu adottato nel 1933 dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas di Tertiveri, ereditando il titolo di marchese di Tertiveri. E poi, visto che all’anagrafe risultava figlio di Anna Clemente e di N.N. — il padre che lo aveva avuto da una relazione extraconiu­gale in un primo momento non lo aveva riconosciu­to cosa che fece solo negli anni Venti — dopo questi due riconoscim­enti, e dopo lunghe controvers­ie legali, si fece riconoscer­e una serie di titoli sostenendo di essere anche erede di un ramo decaduto a un ramo decaduto dei nobili de Curtis.

L’ossessione del sangue blu era ricorrente. Ricorda ancora Antonello: «Ci sono stati anni in cui lui, legato da una profonda amicizia con Indro Montanelli, trascorrev­a con lui e con Roberto Gervaso la domenica. Venivano per desinare con lui. E da questi pranzi Montanelli usciva stremato: “Insomma” diceva “vengo dal principe delle risate e lui passa giornate intere a parlarmi delle sue cause legali”». Questo ansia da blasone lo condizionò per tutta la vita. «Pensi che dopo la sua morte, per i primi 12 anni, mia madre spese tutti i soldi che le provenivan­o dalle royaltes per pagare il debito che nonno aveva lasciato con il fisco: un miliardo e duecento milioni. La verità è che lui faceva la vita del gran signore. Viaggiava in cadillac. E ogni anno ne comprava una nuova. Tranne l’ultima, quella che ebbe poco prima di morire. Era una Opel, aveva già speso tutto». E doveva accontenta­rsi. Nei ricordi di Antonello bambino non c’è il teatro col nonno, né tanto meno la sua lunga sfilza di film. Mamma andava a vederli da sola, io li ho scoperti già grande. Quando ho capito che a quel cognome dovevo tutto quello che ho fatto, compresa la mia esperienza di produttore cinematogr­afico». E la possibilit­à di vivere tra Montecarlo e Cape Town, dove è arrivato, va detto, al seguito della madre e del suo secondo marito. Un nonno difficile dunque? «Sì a modo suo era un sadico. Soffriva quando qualcuno gli toglieva la scena. Il primo film che girò con un Alberto Sordi giovanissi­mo, finì con lui che, simulando una delle sue improvvisa­zioni sul set, lo addentò alla testa. Aveva capito che Sordi era un talento e ne soffriva. Credo che il nonno non sopportava di essere basso e che avesse sofferto da bambino per gli stenti e l’ironia cui era sottoposto dagli altri bambini del Rione Sanità». Gli occhi di Antonello si accendono di tenerezza quando ricorda la nonna Diana, «era una toscanacci­a adorabile, non smise mai di parlare in fiorentino né di tifare la viola e sopportò per i 15 anni di matrimonio una gelosia insostenib­ile da parte del nonno. D’altronde lei era bellissima. Bella da fare paura». Non che la cosa impedisse a Totò di corteggiar­e altre donne. «Quando conobbe la Pampanini le inventò che la moglie era brutta e malata e che lui era un povero marito afflitto, salvo poi ricevere un secco no da lei che intanto era venuta a sapere di come stavano veramente le cose». Un viveur, insomma nei ricordi di Antonello. Non dimentiche­rò mai l’odore che facevano le banconote da 10 mila lire che mi regalava quando andavo a trovarlo, sapevano di Tabac Blond, voleva che la sua donna di servizio le stirasse dopo averle spruzzate di profumo. Come non dimentiche­rò mai quando mi regalò la sua prima cravatta facendomel­a scegliere tra le duemila che teneva in armadio. Avevo preso 7 nel tema. Premiato nel voto perché ero stato sincero, scrivendo che per il nonno provavo vergogna. Perché sì da bambino, a scuola dai gesuiti romani, mi disturbava sentirmi dire che ero nipote di un guitto e per giunta che veniva da Napoli. Se in classe mancava qualcosa guardavano subito me».

Miseria e nobiltà

Era ossessiona­to dal blasone. «Ricorda che sei un conte», mi diceva Mi regalò la mia prima cravatta, quando presi un 7 nel tema

Lui e le donne

Per corteggiar­e la Pampanini le raccontò che sua moglie era brutta e malata, ma lei si negò Si era informata di come stessero le cose

 ??  ??
 ??  ?? Antonello Buffardi de Curtis in uno scatto di Massimo Sestini (dal libro edito da Gruppo Editoriale con il sostegno di Poste Italiane e Isaia)
Antonello Buffardi de Curtis in uno scatto di Massimo Sestini (dal libro edito da Gruppo Editoriale con il sostegno di Poste Italiane e Isaia)
 ??  ?? Antonello Buffardi de Curtis (foto: Cambi/Sestini)
Antonello Buffardi de Curtis (foto: Cambi/Sestini)
 ??  ?? Totò e Diana Bandini Lucchesini Rogliani
Totò e Diana Bandini Lucchesini Rogliani

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy