«Ma la dignità dell’uomo non è una formalità»
Legge formale o legge sostanziale? Il professor Paolo Caretti, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, anche alla luce del caso Vicofaro, del modello di accoglienza di don Biancalani, dei controlli e dei sequestri delle forze dell’ordine, prova a rispondere a un dilemma che da sempre interroga i giuristi. «Leggi interpretabili se c’è in ballo la dignità dell’uomo».
Legge formale o legge sostanziale? Il professor Paolo Caretti, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, anche alla luce del caso Vicofaro, del modello di accoglienza di don Biancalani, dei controlli e dei sequestri delle forze dell’ordine, prova a rispondere a un dilemma che da sempre interroga i giuristi.
Professor Caretti, il caso Vicofaro ci pone di fronte a un dubbio: è sempre giusto applicare la legge in modo rigoroso o c’è la possibilità di interpretarne lo spirito? E quando si parla di profughi, è meglio un tetto malandato o nessun tetto?
«Quello tra diritto formale e il diritto sostanziale è un problema che attraversa tutta la nostra civiltà dai tempi di Antigone: Creonte il diritto della città, Antigone invece il diritto del cuore (nella tragedia di Sofocle, Antigone seppellì il corpo del fratello Polinice, sfidando il divieto imposto da re Creonte, che lo considerava un traditore della città di Tebe, ndr). In linea generale il principio di rispetto della legge è un principio sacrosanto che non tollera deroghe, salvo alcune eccezioni. Casi nei quali il rigoroso rispetto della legge deve cedere o può cedere di fronte all’esigenza di rispondere a principi di carattere superiore, come, in certi casi, il rispetto della dignità personale, il rispetto del diritto alla vita».
Può farci un esempio?
«C’è stata una sentenza della Corte Costituzionale, qualche anno fa, che parlando di diritto alla salute, articolo 32 della Costituzione, lo ha definito come un diritto inviolabile dell’uomo, non solo del cittadino, e quindi estensibile a tutti, le persone residenti regolarmente nel Paese, ma anche irregolarmente. Nel servizio sanitario nazionale, l’assistenza di base non può essere negata neppure al clandestino che non paga le tasse e non contribuisce al sostentamento del servizio. La Corte ha detto che in questo caso prevale un elemento di natura superiore, il rispetto della dignità personale e il diritto alla salute».
Lei parla di una sentenza. Ma chi deve applicare la legge può derogarla in alcuni casi?
«L’applicazione della legge, che comporta delle conseguenze negative nei confronti di certi soggetti, deve rispondere comunque a un principio di proporzionalità. L’applicazione rigorosa trova infatti un altro limite quando crea un danno sproporzionato rispetto al bene che la legge vuole perseguire. Un danno che neppure il legislatore voleva che venisse prodotto. Questo è un altro caso in cui si può parlare di una possibile deroga. Ma qui andiamo sul piano dell’opinabile. Quando il danno può considerarsi sproporzionato? Siamo su un crinale difficile, si presta alla valutazione soggettiva».
Vuol dire che nell’applicazione della legge è comunque centrale il ruolo dell’essere umano?
«In qualche modo sì, perché la legge dovrebbe essere applicata anche alla luce del contesto in cui la norma interviene. Tenendo fermo che il principio generale è applicare la norma, si tratta di vedere se gli elementi del contesto presentano delle caratteristiche tali da consentire un’applicazione non automatica, ma con possibili deroghe. Per questo non si può stabilirlo in astratto: conta la realtà, le singole vicende».
La riflessione può essere estesa al caso Vicofaro?
«Sul caso Vicofaro, come su quello di Riace, può darsi che ci siano state delle irregolarità amministrative. Ma mi pare che quel che ha danneggiato queste esperienze è il fatto di essersi poste come modello esportabile sull’intero territorio nazionale, quando invece sappiamo che il Testo Unico sull’immigrazione, che sul piano dell’integrazione non dice niente, è un modello escludente. E allora immaginare che il modello Riace, o il modello Vicofaro, potesse cambiare le cose probabilmente l’ha danneggiato. Perché Riace o Vicofaro, con una legislazione che non guarda né all’accoglienza, né all’integrazione, saranno sempre guardati come anomalie».
Sta dicendo che pagano l’aver rappresentato una sfida al sistema?
«Le nostre leggi escludono, non integrano. Quindi o si riesce a cambiarle, oppure quelle piccole esperienze che guadagnano la ribalta dei mass media, e pretendono di essere un modello alternativo, prima o poi vengono chiuse».
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Come Riace
Forse delle irregolarità c’erano, ma entrambe le esperienze sono state penalizzate perché si mostravano come modello nazionale