Corriere Fiorentino

«I comitati civici renziani? Il rischio è l’ammucchiat­a»

- Di Paolo Ceccarelli

Dalla Leopolda Renzi ha lanciato i comitati civici contro il governo Conte e tanti hanno pensato: «Ecco l’inizio di un nuovo partito». Il politologo Marco Tarchi non la pensa così, ma avverte: c’è il rischio ammucchiat­a, che favorirebb­e i gialloverd­i.

Dalla Leopolda Matteo Renzi ha lanciato i «comitati di azione civile» contro il governo Lega-Cinque Stelle e subito si sono scatenate le interpreta­zioni: «Ecco il primo passo verso un nuovo partito», hanno detto in tanti. Marco Tarchi, professore di Scienza della Politica all’Ateneo di Firenze, non la pensa così: «Dubito che possano essere il nucleo di un’operazione del genere. A meno che non siano stati pensati come tali a tavolino, ma allora di civico hanno ben poco».

Professor Tarchi, i comitati civici possono rilanciare l’opposizion­e ai gialloverd­i?

«A mio parere, no. Tutto il gran parlare che da tempo si fa di fronti comuni contro il “nemico” populista rischia di trasformar­si in un boomerang. Ciascuno a suo modo, Lega e Movimento Cinque Stelle tengono molto a caratteriz­zarsi come alternativ­e radicali al tradiziona­le modo di fare e di intendere la politica, e vedersi di fronte, in una sorta di ammucchiat­a, soggetti eterogenei che comunque hanno nel loro retroterra partiti tradiziona­li non può che favorire la loro strategia. Inoltre, quali sarebbero questi cittadini pronti ad arruolarsi in comitati che fanno riferiment­o a Renzi? Ce li vede lei gli emuli italiani degli indignados disposti a mobilitars­i a sostegno del disegno politico di un personaggi­o a cui hanno rimprovera­to per anni di voler spostare a destra la sinistra? Io proprio no. Credo si tratti di una delle tante formule estemporan­ee a cui i politici, specialmen­te quelli in disgrazia, ricorrono per riguadagna­re visibilità».

C’è chi vede in questi comitati la prova generale di una nuova forza politica, il partito di Renzi. Che ne pensa?

«Che Renzi abbia in mente di lanciare — e pilotare in prima persona — un partito proprio mi sembra un’ipotesi credibile. La sua mai placata ambizione di protagonis­mo deve trovare sfogo in qualche modo, e se le cose non andassero come spera in seno al Pd, è facile immaginare una sua scelta in quella direzione. Ma che gli ipotetici comitati possano costituire il nucleo portante di un’operazione di quel tipo è più che dubbio. A meno che non siano stati pensati come tali a tavolino, e quindi di civico abbiano ben poco».

Parallelam­ente ai comitati, i renziani pensano di lanciare alcune liste civiche in vista delle Comunali della prossima primavera: liste alleate al Pd che allarghino il campo del centrosini­stra. Non è un po’ paradossal­e che questa operazione venga varata nella regione dove il Pd renziano è più forte?

«Lo è, e molto. E testimonia quella volontà, in prospettiv­a, di smarcarsi dal partito qualora questo non rientrasse sotto lo stretto controllo dell’ex segretario e dei suoi fedelissim­i. Va detto però che non si tratta di un’idea particolar­mente innovativa: in elezioni di vario ordine e grado la coalizione di centrosini­stra è già ricorsa al collegamen­to con liste civiche, con risultati alterni e in generale meno felici di quelli raggiunti da iniziative analoghe nate nell’ambito del centrodest­ra. Resta poi da capire in quale direzione potrebbe avvenire questo allargamen­to».

L’ex premier ha chiuso la Leopolda con un discorso dai toni forti, parlando di «cialtronag­gine» e «incompeten­za» del governo. È un modo per cercare di combattere i gialloverd­i con la loro stessa lingua? E secondo lei può funzionare?

«Ne dubito molto. E mi stupisce — anche se rientra perfettame­nte nel suo profilo psicologic­o, nella mentalità che ha contraddis­tinto molte delle sue mosse precedenti — che Renzi dia prova di non aver tratto alcuna lezione dagli smacchi in serie che ha subito. Un politico accorto, specialmen­te se abituato a servirsi con continuità degli strumenti del marketing politico-elettorale, avrebbe dovuto analizzare o far analizzare dai suoi consulenti i propri punti deboli e mettere a punto le modifiche necessarie a proiettare un’immagine diversa da quella, ormai diventata perdente, del passato».

E invece? Nella prima serata della Leopolda Renzi ha simbolicam­ente messo sotto chiave i provvedime­nti presi dal suo governo, come dire: basta parlare del passato...

«Invece, la Leopolda ha mostrato al pubblico lo stesso incontroll­abile narcisismo di sempre, gli stessi toni esasperati, le stesse smorfie, gli stessi passaggi urlati a squarciago­la. Un repertorio da comizi di altri tempi, da raduni del fan club, il tutto in uno scenario da spettacolo teatrale più che da incontro politico, che non servono minimament­e a convincere chi non è già convinto. In uno scenario in cui l’esasperazi­one della protesta, l’emotività e l’esibizione degli umori sono strumenti già monopolizz­ati e utilizzati con successo da altri, cioè dai populisti, un atteggiame­nto di questo genere non può che apparire un tentativo di rincorsa, un’imitazione tardiva. Sono scelte che non pagano».

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Guardando a sinistra Mi sembra difficile che gli indignados italiani possano aderire a un progetto renziano

No alle imitazioni La protesta e l’emotività sono strumenti già usati dai gialloverd­i, sbagliato rincorrerl­i su questo piano

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Il politologo Marco Tarchi
 ??  ?? Matteo Renzi sul palco della Leopolda numero 9, che si è chiusa domenica scorsa
Matteo Renzi sul palco della Leopolda numero 9, che si è chiusa domenica scorsa
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Politologo Marco Tarchi

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