Corriere Fiorentino

Minacce, botte e coltellate agli operai nel cantiere

Immigrati sfruttati, le famiglie in patria ricattate. In tre trovano il coraggio di denunciare

- D’Angelo

Un canale diretto tra il Pakistan e la provincia di Massa Carrara, per sfruttare giovani alla fame all’interno di un piccolo cantiere navale e ricattare le loro famiglie lontane. Una storia di caporalato, minacce di morte, sevizie, angherie e violenze di ogni genere, che avvenivano all’interno di alcuni capannoni industrial­i prestati alla nautica da diporto.

Tre pakistani di circa 30 anni, operai con mansione di resinatori della vetroresin­a, hanno avuto il coraggio di denunciare tutto, prima alla Cgil e poi alla Procura, e adesso si trovano in una struttura protetta, minacciati di morte dai loro aguzzini, una famiglia di connaziona­li. «Sono venuti in Cgil una sera di circa quindici giorni fa — racconta il segretario provincial­e di Massa Carrara Paolo Gozzani — Uno era stato massacrato di botte, un altro aveva ricevuto una coltellata all’addome, si reggevano l’uno con l’altro. Abbiamo dovuto chiamare un ragazzo che lavora in un kebab per farci da interprete, perché non parlano una prola di italiano. Li avevano ridotti così perché avevano saputo

che qualche giorno prima erano già stati al sindacato per denunciare la loro situazione lavorativa. Ho chiamato il nostro avvocato e li abbiamo portati in questura per la denuncia. Confesso di avere paura anche io».

Nella denuncia depositata in Procura i tre operai parlano

di tre fratelli e tre cugini che dal Pakistan hanno creato un piccolo impero a Massa Carrara, dove affittano capannoni per verniciare i gusci dei grandi yacht con il vetroresin­a; dall’Italia precettano connaziona­li che partono con la speranza di trovare benessere, lasciando a casa le proprie

famiglie. Una volta arrivati a Carrara l’inferno: 14 ore di lavoro effettive, contratti da poche ore, molto nero, pagamenti con buoni pasto, oppure cash che serviva però in gran parte per pagare agli stessi aguzzini l’affitto di un appartamen­to, le spese dei trasporti avanti e indietro dai

capannoni, e una «tassa» come riconoscim­ento del lavoro ottenuto. Se lavoravano male o si ribellavan­o allo schiavismo, venivano puniti ferocement­e, rinchiusi in stanze buie per giorni senza mangiare, picchiati, pare anche seviziati, minacciati di morte assieme alle loro famiglie in Pakistan. Quando tre di loro (gli operai coinvolti sarebbero in totale cinque) hanno deciso di denunciare tutto alla Cgil, gli aguzzini li hanno aggrediti in una piazza del centro di Massa, massacrati di botte e accoltella­ti. Le forze dell’ordine parlarono di una rissa tra connaziona­li, invece era un avvertimen­to.

I tre pakistani quella stessa notte sono tornati alla Cgil e hanno deciso di denunciare tutto. La Procura ha aperto una indagine, la Cgil cerca risposte sulle commesse che venivano affidate a questa ditta di pakistani, che probabilme­nte applicava prezzi vantaggios­i fuori dal mercato. «Se c’è qualcuno che ha contribuit­o ad alimentare questo sistema — conclude Gozzani — noi vogliamo sapere chi è. La nostra battaglia è per debellare il capolarato che abbiamo scoperto presente non soltanto nel settore lapideo ma anche nella nautica. La presenza dei pakistani, titolari di ditte di questo genere, sul nostro territorio è una novità. Ma il fenomeno, se non arginato subito, potrebbe pericolosa­mente espandersi».

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