Ma l’abbandono delle ulivete rischia di rovinare la festa
L’olio toscano rischia di diventare come una bella moglie della quale apprezziamo mille qualità, ma la quale, data troppo per scontata in casa, sta già scappando all’estero. Sembra impossibile, tutti diranno di amare l’extravergine, nessuno si sottrarrebbe al rito — appunto — dell’olio novo in questa stagione, eppure a leggere gli ultimi dati del Consorzio dell’Extravergine toscano Igp emergono profonde contraddizioni. Da una parte c’è un amore crescente dall’estero. L’olio toscano Igp viene oggi esportato per il 65% contro un 35% di consumo interno. Gli Usa sono il primo mercato. Fin qui niente di clamoroso, sono una delle piazze commerciali più grandi del mondo. L’Inghilterra è il secondo mercato e qui invece emerge già un dato significativo: si tratta di uno dei mercati più maturi dell’enogastronomia
mondiale, basti pensare al vino. Oggi Londra inoltre è una delle migliori destinazioni del mangiare bene, non è come vent’anni fa in cui imperversava una pseudo cucina francese.
Infine, ma più importante, il piccolo Giappone è il terzo mercato per l’extravergine toscano garantito. I giapponesi sono letteralmente impazziti per l’olio nostrale, per il suo gusto piccante, per la fragranza e la ricchezza di polifenoli, ovvero di antiossidanti. Si tratta di uno dei Paesi di riferimento per la cucina di tutto il mondo, un faro assoluto della materia prima di qualità come tutti ormai sanno, il fiore all’occhiello per i palati più ricercati. La richiesta da questi paesi sta aumentando. Inoltre, all’interno di quel 35% di mercato interno, nel 2018 sta aumentando anche la domanda dalle altre regioni della
Penisola. Tuttavia, ecco la contraddizione, in Toscana aumenta l’abbandono delle ulivete. Tra le 30 e le 40 solo quest’anno secondo il Consorzio dell’olio toscano Igp. «Basta percorrere il tratto tra Massarosa e la Garfagnana per osservare un “bosco di ulivi”» ha commentato il presidente Fabrizio Filippi. «Alta collina, terrazzamenti... stiamo calcolando un aumento del 15-20% negli abbandoni delle ulivete» ha aggiunto Filippi. Un fenomeno preoccupante anzitutto da un punto di vista tecnico. Gli uliveti abbandonati sono incubatori di
Xylella fastidiosa, il batterio che sta decimando alcune delle migliori produzioni del nostro Paese. «Un doppio problema, perché in questo modo si rischia di perdere — ha aggiunto il presidente Filippi — oltre alla produzione anche la biodiversità delle nostre coltivazioni. Il Leccino è più resistente, d’accordo, ma se il batterio si diffondesse anche in Toscana un giorno potremmo essere costretti a coltivare prevalentemente quello».
Analizzando le cause, il fenomeno acquisisce un senso più logico, ma non meno deprimente. Storicamente l’ulivo è sempre stato una coltivazione di complemento, a margine cioè di tante altre attività di una fattoria (grano, vino...). Ciò è dimostrato dalla dimensione delle aziende che possiedono tra 1 e 1,5 ettari da coltivare di media. A questa dimensione occorre aggiungere altri fattori socio culturali. L’autoconsumo è ancora molto forte, come dimostrano ad esempio le cene sempre più frequenti nella borghesia fiorentina in cui ogni invitato porta l’extravergine prodotto dai propri ulivi che poi perlopiù destina al consumo di casa e per gli amici. Ultimo ma non ultimo il compenso ai raccoglitori intervenuti, spesso pagati proprio in merce e non in denaro.
Per fortuna, qualche eccezione c’è. Ad esempio sul lato di Bibbona della Bolgherese l’Antico frantoio toscano dei Peccianti ha recentemente investito in un terreno di quasi 100 ettari nella zona di Montegemoli, in pratica dietro Baratti, per ampliare la propria produzione di extravergine di qualità. Come loro, è indubbio che ci saranno altre aziende consapevoli della direzione verso la quale sta andando la domanda di olio. L’extravergine toscano è un simbolo, certamente, della cucina mediterranea, oltreché della nostra, locale, campanile per campanile. Ma non è un monumento (ammesso che i monumenti siano imperituri) e va coltivato, consumato, amato, a comiciare dal campo. Prima che diventi, come certi vini, così caro da non poter essere che centellinato o consumato solo all’estero.
La minaccia Xylella
Le aree incolte sono incubatori del batterio che spaventa tutti Ma ci sono le eccezioni: a Bolgheri un frantoio ha comprato 100 ettari