La regista iraniana presenta a Prato il suo ultimo lavoro
Domani l’artista e regista iraniana presenterà il film «Looking for Oum Kulthum» «Racconto la leggendaria cantante in una società in mano agli uomini Più il radicalismo prende piede più le figure femminili diventano combattive»
Sono «sempre più forti» le donne raccontate da Shirin Neshat, l’artista visiva e regista iraniana costretta a non poter tornare nel suo Paese per via della denuncia espressa dalle sue opere. Perché «mano a mano che nel mondo arabo prende piede il radicalismo islamico, le figure femminili si radicalizzano nel carattere, diventano forti, più combattive, più consapevoli», ci dice. Neshat, domani (ore 21) sarà al Centro Pecci di Prato: parteciperà alla proiezione del suo ultimo film Looking For Oum Kulthum, sulla leggendaria cantante del mondo arabo scomparsa nel 1975. E dialogherà con la direttrice del Centro, Cristiana Perrella e il pubblico. L’obiettivo della regista con questa pellicola è esplorare le lotte, i sacrifici e il prezzo del successo di un’artista che vive in una società conservatrice e dominata da uomini. «Da sempre sono interessata a storie di donne forti con vite non tradizionali: m’interessava soprattutto il fatto che Oum fosse nata in una famiglia di contadini, in un Paese dominato dagli uomini, eppure fosse riuscita a diventare la più grande artista mediorientale del ventesimo secolo». Kulthum è stata la colonna sonora delle Primavere arabe, un momento di
grande illusione del Medio Oriente che Neshat considera un passaggio peggiorativo: «Mi ricordo che le sue canzoni c’erano, perché io stessa ero in Egitto quando è accaduto. Kulthum nei suoi testi parla spesso della patria e di unire le persone di diverse classi sociali oltre che di diverse provenienze religiose. Inizialmente le Primavere sono state un’esperienza euforica e contagiosa. Subito dopo
la situazione è degenerata con i nuovi regimi. Diventando peggiore di come era prima». La regista è cauta, non per timori di smarrire una libertà persa da tempo, ma per la sua idea di arte: «Cerco di parlare attraverso metafore – spiega – perché non mi piace essere esplicita. Gli artisti hanno la responsabilità di commentare nel modo più neutro possibile gli accadimenti, la responsabilità di parlare con la
propria opera». Abbiamo chiesto all’artista, che attualmente vive a New York, che effetto le facesse il fatto che la problematica della violenza sulle donne sia al vertice dell’agenda mediatica occidentale, come dimostra #metoo. Ci sono assonanze con la lotta delle donne mediorientali, ma «la differenza sostanziale è ovviamente che nel movimento #metoo si parla di molestie sessuali nel mondo del
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