Corriere Fiorentino

«Nessuno interveniv­a, qualcuno filmava: li ho fermati gridando»

- di Antonella Mollica

«Un ragazzo stringeva le mani al collo di mio marito e nessuno muoveva un dito per aiutarlo. Qualcuno riprendeva la scena con il cellulare. Sono uscita dalla macchina urlando: ma non vi vergognate? ». Così la moglie del cardiochir­urgo, incinta di nove mesi, racconta la terribile aggression­e di sabato sera. «Sono ancora sconvolta, vedere tanta indifferen­za mi fa paura».

«Un ragazzo stringeva le mani al collo di mio marito e nessuno muoveva un dito per aiutarlo. Anzi, peggio: qualcuno riprendeva la scena con il cellulare. Sono uscita dalla macchina urlando: ma non vi vergognate? Io mi vergogno per i vostri genitori». Quelle grida in mezzo a sguardi sfuggenti, come se fossero tutti fantasmi, sono servite a fermare un’aggression­e senza senso. Non in un vicolo buio e a notte fonda ma un sabato sera nel cuore di Firenze, poco prima di mezzanotte, in una strada affollata di gente che ha preferito girare gli occhi da un’altra parte. A parlare è la moglie del cardiochir­urgo aggredito sabato in via degli Anselmi, in quell’angolo alle spalle dei portici di piazza della Repubblica.

È al nono mese di gravidanza, partorirà tra una decina di giorni. È stata lei a scendere dalla macchina e a gridare contro i ragazzi che avevano circondato suo marito, colpevole di aver osato protestare per quel muro di motorini e auto parcheggia­te in modo selvaggio. Quelle urla sono servite a bloccare l’aggression­e. Lei è ancora sotto choc, da due notti non dorme. «Solo ora mi sto rendenselm­i do conto di quanto abbiamo rischiato ma in quel momento non ci pensi».

È quasi mezzanotte quando la coppia, di ritorno da una cena, va a prendere l’auto che era stata parcheggia­ta regolarmen­te in via degli An- quattro ore prima. Il Chiosco by night è diventato uno dei più frequentat­i dal giovane popolo della movida.

«Quando siamo arrivati non c’era nessuno, a mezzanotte abbiamo trovato la strada invasa dalle auto parcheggia­te in doppia fila e da decine e decine di motorini. Intorno c’erano tantissimi ragazzi, anche giovanissi­mi. Alcuni erano comodament­e seduti sulla nostra auto e al nostro arrivo hanno fatto una battuta sul fatto che grazie a loro era più pulita. Abbiamo sorriso e siamo saliti in macchina». C’era confusione, tanta, ma mai avrebbero immaginato quello che sarebbe accaduto da quel momento in poi. Guadagnand­o un centimetro alla volta il chirurgo tenta di uscire con l’auto dal parcheggio ma sembra un’impresa impossibil­e, auto e motorini sono ovunque, intorno ci sono tanti ragazzi che fumano e bevono, sigarette e non solo. Alcuni iniziano a irridere la coppia, bussano al finestrino delle auto e dicono: tanto non uscite. Come dire: rassegnate­vi. «Sembravano prendersi gioco di noi», racconta ancora la moglie del chirurgo. «Ci siamo sentiti ostaggio di quel gruppo di ragazzini arroganti ma anche dell’indifferen­za di tutti gli altri che continuava­no a fumare e a ridere».

C’è chi continua a restare seduto sul motorino come se la cosa non li riguardass­e. E c’è chi, strafotten­te, dice: che ci spostiamo a fare, tanto ci sono gli altri motorini che impediscon­o il passaggio. Così il chirurgo, dopo aver capito che la situazione non si sarebbe sbloccata, scende. Spazientit­o spiega che nell’auto c’è la moglie incinta che non ce la fa più, che deve assolutame­nte tornare a casa.

La reazione di uno dei ragazzi è furiosa: «Dai picchiami», provoca, gonfiando il petto e quasi buttandosi addosso. In un attimo la tensione sale alle stelle: partono le spinte, strappano la camicia al chirurgo, uno gli mette le mani alla gola, altri lo colpiscono alla testa da dietro. «A quel punto sono saltata fuori dalla macchina urlando con tutta la voce che avevo — racconta la moglie — non so dove abbia trovato quella forza. Sono stata l’unica a mettermi in mezzo, nonostante la mia pancia ingombrant­e, mentre gli altri guardavano quello che accadeva come se stessero assistendo a uno spettacolo. Solo dopo le mie grida è arrivata una persona che aveva diversi mazzi di chiavi in mano e come d’incanto sono spariti motorini e auto, permettend­oci di uscire dal parcheggio. Siamo tornati a casa sotto choc. Non abbiamo detto una parola in auto. Non abbiamo chiamato le forze dell’ordine perché non pensavamo che la situazione potesse degenerare fino a questo punto. Eravamo convinti che la situazione potesse risolversi con il buon senso. Con il senno di poi forse avremmo dovuto farlo subito. Domenica, dopo aver passato la notte in bianco, siamo andati a fare la denuncia. Ma quella brutta sensazione che ci è rimasta addosso non si cancellerà facilmente. Niente ferisce più dell’indifferen­za. E da madre sono sinceramen­te preoccupat­a. Vedere quei ragazzi così spavaldi, così aggressivi, nonostante avessero torto, mi fa davvero paura. Un mondo così mi fa paura».

Momenti di paura Ho temuto per mio marito: lo avevano preso per il collo. E allora ho urlato: «Vergognate­vi»

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