IL MAESTRO D’ARTE DIFENSORE DI FIRENZE
L’architettura e il restauro hanno perso Un maestro. E l’Accademia delle Arti del Disegno piange in Marco Dezzi Bardeschi uno dei suoi membri più autorevoli e attivi. Ma è la città di Firenze a subire la perdita più grande, quella di una voce competente e critica.
È morto domenica, all’età di 84 anni, il professore Marco Dezzi Bardeschi, tra i massimi interpreti del restauro architettonico, nato a Firenze, laureatosi in ingegneria con Giovanni Michelucci e poi in architettura con Piero Sanpaolesi. I funerali si terranno domani, alle 15, nella basilica di Santissima Annunziata a Firenze. Il corpo sarà esposto oggi nella cappella di San Luca (sempre alla Santissima Annunziata), protettore degli Accademici delle Arti del Disegno. Pubblichiamo il ricordo dell’amico Gaspare Polizzi.
Una voce che ha lottato fino alla fine per restituirle la grandezza artistica, aprirla alla modernità e impedirne il declino. A Firenze Marco Dezzi Bardeschi ha offerto instancabilmente progetti e idee, non sempre recepiti. I restauri della Palazzina Reale e della Stazione di Santa Maria Novella (1990) sono tra i più noti, mentre il condominio di piazza San Jacopino (1976) è stato un esempio significativo di nuova architettura fiorentina, oggetto di polemiche, ma risolutamente difeso da Giovanni Klaus Koenig, che vi lesse espressionismo e geometria delle forme. Mi piace ricordare anche il dragone che campeggia nella parte superiore del Giardino dell’Orticoltura (1990), fontana mai funzionante, ma luogo dell’immaginario per bambini e sognatori che si intrattengono in quei moderni Orti del Parnaso. Dezzi Bardeschi ha seguito con originalità gli insegnamenti dell’indimenticato Giovanni Michelucci e di Piero Sanpaolesi, promotore, con l’Istituto di Restauro dei Monumenti, di una cultura fiorentina del restauro che ha formato un altro grande maestro, Francesco Gurrieri. Ingegnere e architetto come Sanpaolesi. Marco studiava i monumenti nelle tecniche costruttive e mirava, con radicalità, alla conservazione dei materiali. Non ho titolo per presentare la sua lunga e prestigiosa carriera accademica, che lo vide dal 1976 Ordinario di Restauro Architettonico alla Facoltà di Architettura di Milano. Né i suoi studi, raccolti in più di novecento pubblicazioni sulla storia dell’architettura e sulla cultura del progetto, tra i quali ricordo soltanto il fortunato Restauro: punto e da capo. Frammenti per una (impossibile) teoria,
stampato dal 1991 in otto edizioni, e Leon Battista
Alberti, volume che richiama la tesi di laurea sul complesso fiorentino di San Pancrazio e sul capolavoro albertiano del tempietto del Santo Sepolcro, pubblicato, che io sappia, soltanto in spagnolo nel 1988. Per i suoi
ottant’anni l’Accademia delle Arti del Disegno promosse in sette diverse postazioni espositive la mostra Autenticittà. Cari luoghi: un viaggio di 50 anni a Firenze e
dintorni (2013-14). Con i dibattiti vivaci e qualificati che l’accompagnarono, il professore proponeva un’occasione preziosa di riflessione e di confronto sulla storia e sul futuro di Firenze, vista in una simbiosi di centro storico, periferia urbana e territorio dell’antico contado, che si è trasformata negli ultimi anni in una «crociata» per il rispetto e la cura dei valori identitari materiali, unita al rilancio creativo di una cultura della qualità del progetto. Proseguita l’anno dopo con la mostra Firenze 1565 della magnificenza civile, promossa dal Consiglio regionale, grazie all’impegno di Eugenio Giani, a 450 anni dalle nozze tra Francesco de’ Medici e Giovanna d’Austria. E nel maggio 2016 dal convegno Grandi effimeri ed apparati urbani ieri e oggi,
che metteva a confronto la cultura dell’effimero inaugurata da Cosimo I con la costruzione, grazie anche all’Alberti, degli apparati urbani della Firenze del secondo Cinquecento, decisiva per la dimensione civile, artistica e urbanistica di Firenze, e quella ben più povera dei nostri tempi. L’impegno culturale e civile di Dezzi Bardeschi è in gran parte raccolto in Ananke, cultura, storia e tecniche della conservazione per il progetto, rivista che ha diretto dal 1993 e per la quale stava preparando un dossier a cura di Giuseppina Carla Romby dal titolo inequivoco: «Firenze in svendita». Dall’ottobre di cinque anni fa, quando iniziammo a ragionare insieme nel suo studio di viale Filippo Strozzi, rimasi affascinato dalla sua energia e da una vivacità d’ingegno che lo portava a discutere con competenza di autori e questioni estranee all’architettura e al restauro, dall’illuminismo toscano del Settecento, a Benjamin, Bachelard, Leopardi (aveva scritto anche sull’impegno di Monaldo per la costruzione del Teatro Persiani a Recanati).
Il suo ultimo intervento lo ha steso sul letto d’ospedale. Affidò alla mia voce la presentazione in Accademia, il 17 ottobre, del volume L’ultimo Leonardo. Storia, intrighi e misteri del quadro più costoso del mondo, del suo più apprezzato allievo, Pierluigi Panza. Gliene sarò grato per sempre. L’intervento si concludeva con parole forti e polemiche contro la degenerazione del restauro, che oggi «subisce questa logica, che privilegia proprio il ritorno all’overdose restaurativa come operazione radicalmente opposta alla Conservazione», per arricchire improbabili mercanti d’arte, come dimostra Panza per lo Stupor mundi. Ci mancheranno il suo ingegno, creativo e scientifico, la sua curiosità, e la sua passione civile.