Coverciano, la storia del calcio italiano in sessant’anni
Ieri la cerimonia per l’anniversario. Gravina, presidente della Figc: «Centro di eccellenza strategico»
Quando alle ore 17.30 la bandiera italiana sale lenta sul pennone accompagnata dall’inno di Mameli, ecco che la macchina del tempo sembra riportare tutto indietro di 60 anni esatti, alla nascita del Centro di Coverciano, la dimora del calcio italiano, un sogno azzurro condito da tanto verde intorno.
Qualcuno si abbraccia, altri si stringono la mano. Qualcun altro riavvolge fino in fondo il nastro dei ricordi e si commuove parlando del Centro Tecnico Federale, di un luogo magico al quale ha dedicato tutta la vita. «Oggi è un giorno carico di emozioni. Mi proposi al Marchese Ridolfi per fare gratis il medico della nazionale juniores, lui accettò. Per tutti questi anni Coverciano non ha cambiato la propria effigie, si è solo modernizzato», racconta Fino Fini, medico della nazionale maggiore, segretario del settore tecnico, direttore della struttura e oggi responsabile del Museo del Calcio. Fu il Marchese Luigi Ridolfi a volere il centro. Pensò a una struttura polivalente, con campi da calcio, pista di atletica, palestra e piscina.
Tutto è rimasto come allora, nemmeno il recente restyling ha scalfito il fascino di una struttura architettonica minimal eppure così versatile nella sua funzionalità. «Col tempo questa eccellenza si è focalizzata sul calcio ma rimane aperta agli altri sport», dice l’attuale direttore Maurizio Francini. La giornata è piovosa ma sono accorsi in tanti alla rievocazione della cerimonia di inaugurazione di quel 6 novembre del 1958. «Il Centro Tecnico di Coverciano e il settore tecnico sono strategici per lo sviluppo del calcio italiano, sono concetti previsti e scolpiti all’interno del nostro statuto», garantisce il neopresidente della Figc Gabriele Gravina. «Per arbitri, allenatori e calciatori Coverciano rimane una reliquia, tutti possono dire di aver corso su questi prati», aggiunge Marcello Nicchi, numero uno dei fischietti. Gianni Rivera fa un cross lunghissimo nel passato. «Ho iniziato da qui, era il 1960 e avevo 16 anni, giocavo ad Alessandria. Ero nella nazionale juniores, ci chiamavano i «PO», i probabili olimpici per Roma», ricorda.
Poi viene svelato il busto restaurato del Marchese Ridolfi, opera della Unione Fornaci della Terracotta di Sanminiatello. Nella palestra a ricordare in un convegno le figure di Luigi Ridolfi e Ottavio Baccani, ideatore e primo direttore del Centro Tecnico Federale, che poi Artemio Franchi trasformò nella casa della Nazionale per la rinascita azzurra. Perché qui si fa la storia del calcio. Ieri come oggi.