Corriere Fiorentino

SENZA PIÙ PRESCRIZIO­NE SI CREANO IMPUTATI A VITA

- Di Luca Bisori*

Gentile direttore, l’iniziativa parlamenta­re del M5S ha riportato alla ribalta il tema della prescrizio­ne penale, subito trasformat­o in «cibo per social»: le Camere Penali Italiane hanno annunciato una dura azione di protesta, l’astensione dalle udienze per 4 giorni. Proviamo a fare chiarezza. La prescrizio­ne cancella la punibilità di un reato non definitiva­mente giudicato, dopo un tempo direttamen­te proporzion­ale alla sua gravità.

Più breve per le bagatelle, più lungo per i reati più gravi, niente prescrizio­ne per quelli puniti con l’ergastolo (omicidio, strage). La legge tiene conto di molti fattori: per alcuni reati il termine è raddoppiat­o (omicidio stradale, violenza sessuale) e col rinvio a giudizio si allunga automatica­mente di un tot (anche fino al doppio); per i reati di terrorismo e criminalit­à organizzat­a la prescrizio­ne è una chimera, perché ad ogni passaggio processual­e «si azzera il cronometro» e si riparte da capo, senza limiti (che la prescrizio­ne mandi impuniti mafiosi e terroristi, quindi, è una balla spaziale); infine, il termine si allunga ulteriorme­nte se l’imputato viene condannato.

Qualche esempio: il furto di uno scooter parcheggia­to per strada si prescrive in 12 anni e mezzo; la corruzione in 15 anni; il disastro ferroviari­o e la violenza sessuale in 25 anni; 37 e mezzo il disastro ambientale. In caso di doppia condanna vanno aggiunti 3 anni: per il furto dello scooter fanno 15 e mezzo. Non si tratta dunque di tempi fulminei.

Il passare del tempo può estinguere un reato perché il processo penale serve non solo ad accertare un fatto, ma a punirne l’autore: e con il passare del tempo l’interesse collettivo alla punizione (ed alla rieducazio­ne) si affievolis­ce. Qual è interesse, oggi, a punire qualcuno per un furto di motorino di vent’anni fa? Inoltre il tempo trasforma la persona che si dovrebbe punire: dopo 15 anni il ladruncolo di motorini magari è diventato un coscienzio­so padre di famiglia.

La prescrizio­ne ha poi una seconda anima: assicura all’imputato che il processo avrà una durata ragionevol­e e che non resterà imputato a vita. Poter progettare la propria vita, anche mettendo in conto una pena da espiare, è diritto fondamenta­le anche di chi ha commesso un reato: se la potestà punitiva fosse esercitabi­le «in eterno», si esproprier­ebbe l’imputato del diritto di compiere elementari scelte di vita (metter su famiglia, iniziare una profession­e), costringen­dolo in una permanente incertezza.

Senza la prescrizio­ne il sistema processual­e non avrebbe alcun incentivo a procedere sollecitam­ente ed il cittadino resterebbe ostaggio della disorganiz­zazione del sistema.

La proposta di legge che tanto fa discutere, tuttavia, va proprio in questa direzione: con la prima sentenza la prescrizio­ne scompare e l’imputato — colpevole o innocente che sia — diventa un potenziale «imputato a vita». È una prospettiv­a irragionev­ole ed illiberale. Il primo effetto sarà la bancarotta della macchina giudiziari­a: sui tavoli dei giudici si accumulera­nno i processi che il sistema non smaltisce, aggravando il dissesto della giustizia. Scomparirà poi ogni incentivo a definire i processi in appello e Cassazione in tempi decorosi, con la devastazio­ne delle vite degli imputati che hanno diritto ad un secondo giudizio ma anche a vedere scritta la parola «fine» in tempo utile a poter programmar­e la propria esistenza. E sarà definitiva­mente negata ogni giustizia anche alle persone offese, condannand­ole ad una attesa indefinita.

I promotori di tanta riforma chiamano in causa gli avvocati, veri responsabi­li dell’allungamen­to dei processi con le loro richieste di rinvio e le altre fumisterie da ‘azzeccagar­bugli’. È un’indecente falsità: quando si chiede un rinvio, la prescrizio­ne si sospende ed il tempo del rinvio ‘non si conta’. La verità è che la prescrizio­ne è frutto solo delle disfunzion­i dell’ordinament­o, della ipertrofia del sistema penale e dell’insufficie­nza delle risorse. Le statistich­e ministeria­li attestano che il 60% delle prescrizio­ni matura durante le indagini, e che negli ultimi anni le prescrizio­ni stanno diminuendo. Una classe politica seria e competente dovrebbe saper affrontare temi di questa delicatezz­a in uno spazio concettual­e un po’ più ampio di quello di un tweet.

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