PORTE APERTE E TESTE LUCIDE
Qualcuno può forse pensare che per difendere le città d’arte dall’usura del turismo d’assalto si possano sprangare, come si faceva un tempo non troppo lontano al calar del sole, quando si chiudevano le porte delle mura? E qualcuno può forse pensare che restare fermi a un dibattito di questo tipo giovi alla consapevolezza dell’opinione pubblica su un tema decisivo per Firenze, o Venezia, o Roma, o Siena e Verona?
L’errore primario che molti fanno consiste nel considerare come un nemico chiunque metta in guardia da un turismo affidato alla spontaneità degli interessi e dei cambiamenti socio-economici delle città. È un’accusa fatta spesso in totale malafede, per il timore di un ridimensionamento dei guadagni legati al flusso crescente e ininterrotto di visitatori. Invece bisognerebbe condividere il più possibile una premessa: il turismo è ricchezza, ma un turismo non governato può spolpare una città fino al midollo, condannandola nel lungo periodo al declino, all’insignificanza perfino per i tour operator.
Per tutte queste ragioni, a molti sarà sembrato surreale il botta e risposta ospitato in questi giorni da Repubblica fra Pier Luigi Cervellati, urbanista, e Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia. Dice Cervellati: «Il centro storico di una città, vanto della tradizione italiana, non è solo un aggregato di chiese, di palazzi monumentali o di scenografiche piazze, ma un tessuto fatto di pregi architettonici e di edilizia minuta (…) e poi — e soprattutto — di persone, con le loro attività e le loro relazioni. E che come tale va salvaguardato». Ancora Cervellati: «Senza residenti non c’è città (…) Le attività non ci sono più nei centri storici? Dobbiamo riportarcele». Come? Utilizzando l’edilizia popolare, per tutelare la residenza.
Si scalda Cacciari: «Bisogna partire da una visione realistica, non dalle utopie (…) Di che cosa stiamo parlando? Come si può solo pensare di eliminare i turisti dai centri storici e riportarci i residenti? Sono ragionamenti da anime belle». Ma poi lo stesso Cacciari sostiene che dovremmo cercare di mantenere nei centri storici le funzioni di formazione e ricerca. E che «se vogliamo resistere al deflusso dai centri storici bisogna dare alle persone la possibilità di viverci e parità di condizioni rispetto a chi vive altrove», rivedendo il sistema fiscale e di agevolazioni sia per i residenti che per le attività artigianali e commerciali.