«Albergatori, sveglia. La tecnologia è dalla vostra»
Massimo Ciotta, esperto di web marketing: basta lamentarsi, state sfruttando male un tesoro
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I piccoli possono rendersi più visibili investendo anche poco Ma la differenza possono farla le istituzioni usando i big data
Il post, volutamente provocatorio, lo aveva lanciato nei giorni scorsi dal suo profilo Linkedin: «Gli albergatori fiorentini. Quanto siete scarsi veriddio — scrive lapidario Massimo Ciotta, Ad di Somake, società di webmarketing fiorentina — Avete la bettola nell’unica città al mondo che per il solo fatto di chiamarsi Firenze garantisce un tasso di occupazione superiore all’80% (e senza l’acqua alta). Eppure, avete l’ardire di lamentarvi dello strapotere di Booking e Airbnb. Perché non vi basta avere gli Uffizi, Ponte Vecchio, Palazzo Pitti. No, voi ambite a diventare la prima categoria al mondo che può esimersi dal fare marketing».
Ciotta, ci è andato giù duro. Quale è il problema?
«In realtà l’atteggiamento cui mi riferivo, quello di adagiarsi sugli allori, è molto italiano. Si sa, a eccezione della riviera romagnola che sopperisce al mare non bellissimo con l’accoglienza, gli altri sanno che il turista arriva comunque quindi difficilmente si mettono in gioco».
Arrivavano. Ora, tanti scelgono Airbnb. Gli albergatori possono difendersi?
«Sì, con la tecnologia possono avere visibilità su internet — dove vanno ormai, numeri alla mano, 2 viaggiatori su 3 — per non sparire rispetto agli Ota, gli Online travel agents come Booking o rispetto a Airbnb. L’investimento è minimo, con Google si viaggia a campagne pay-per-clic la cui media è 50-60 centesimi a clic effettivo. Se l’utente arriva da te non tramite Booking risparmi commissioni anche del 18%, per questo tanti albergatori definiscono questi siti quasi dei soci occulti».
Ma Airbnb è davvero il nemico assoluto degli hotel?
«No, bisogna superare il “com’era bello quando si andava in hotel e basta”. Airbnb è il più grande agente immobiliare senza avere case, Uber quello dei taxi senza avere auto. È il progresso. Ma chi vuole andare in albergo cerca altro, è questo che devono capire gli albergatori».
Cioè?
«I dati che vedo ogni giorno parlano chiaro: i millennial, una quota di mercato enorme, vogliono esperienze e le pagano, non vogliono solo un letto. Se gliele offri, ne parleranno sui social, pubblicità potente e gratuita. Certo, se però si pensa solo alla brioche confezionata a colazione perché costa meno di quella del fornaio, che invece è quel “più” che il cliente cerca, si va poco lontano».
Quindi l’unica è mettere mano al portafogli?
«No, i piccoli possono fare qualcosa con accorgimenti web, ma il vero peso lo hanno istituzioni e associazioni con i loro budget alti. Il segreto sono i big data. Faccio un esempio: atterro a Monaco, mi connetto al wifi gratis dell’aeroporto e la Rete sa già molto di me, ad esempio che sono lì per uno scalo e mi dice cosa posso fare in tre ore. Pensi se a un turista, passando davanti a un museo minore, il cellulare offrisse due biglietti al prezzo di uno. Così si spostano i flussi». Con un clic.