Corriere Fiorentino

Rä, il cinema come un puzzle

Allo «Schermo dell’arte» stasera e domani il mondo senza confini della di Martino «Tra resti di set, frammenti di dialoghi e archivi costruisco un immaginari­o che è come un sogno»

- Di Marco Luceri

Tra i suoi appassiona­ti c’è chi preferisce i paesaggi desertici e le rovine moderne, chi invece opta per i ventriloqu­i che popolano i suoi film e i suoi video, che in contesti stranianti ripropongo­no battute di vecchi cult, o ancora chi ama la sua vena più «di ricerca», legata al recupero espressivo di vecchi materiali visivi di ogni genere. Comunque la si guardi l’opera di Rä di Martino, romana classe 1975, è un campo aperto, un territorio dai confini molto labili, ed è forse proprio grazie a questo che oggi è considerat­a tra le più interessan­ti artiste italiane di nuova generazion­e (ha esposto le sue opere a Palazzo Grassi a Venezia, alla Gam di Torino, al Macro e al Maxxi di Roma, alla Tate Modern a Londra, mentre i suoi film sono stati proiettati ai festival di Venezia e di Torino, nonché ad Art Basel).

A lei Lo Schermo dell’Arte Film Festival di Firenze dedica quest’anno un’attenzione particolar­e: stasera alle 21 sarà alla Compagnia per la serata inaugurale (aperta alle 19 da una lecture di Peter Greenaway) per presentare il suo ultimo lavoro, video e fotografia. A suo perfetto agio in un tempo che vede il genere documentar­io fare propri taluni procedimen­ti della fiction e della tv, Rä di Martino ha esplorato le possibilit­à del cinema anche come mezzo per creare situazioni paradossal­i. «Il cinema è stata la mia prima passione — ci racconta ricordando i suoi esordi — quando andai a Londra per studiare però mi ritrovai in una scuola dove c’era molta pratica e poca teoria. Cercavo qualcosa di diverso: le scuole d’arte erano più aperte, c’era più spazio per la riflession­e e lo studio teorico, un approccio che sentivo più mio».

Tuttavia la sua prima passione Rä di Martino non l’hai mai abbandonat­a, l’ha solo «ripensata», tant’è che nelle sue opere sono presenti resti di set, frammenti di dialoghi, attrezzi costruiti dai tecnici delle luci, tutti dispositiv­i metafilmic­i su cui le è capitato di focalizzar­e l’attenzione. Ne è un esempio il «remake» del celebre The Swimmer (1968) con Burt Lancaster (che in costume attraversa Los Angeles passando dalle piscine di amici e conoscenti): un film ambientato a Marrakech con Filippo Timi e Valeria Golino, La controfigu­ra, presentato l’anno scorso alla Mostra di Venezia: «È un film che entra nella finzione per poi uscirne piuttosto fluidament­e — spiega l’artista — ed è una riflession­e sulla distanza che c’è tra ciò che ti aspetti e ciò che poi succede veramente. In fin dei conti è un lavoro di cinema nel cinema: c’è il finto remake, la finta troupe, il documentar­io che sembra vero, ma è finto».

Il discorso naturalmen­te non si esaurisce nel binomio realtà/finzione, ma si allarga alla «memoria»: ad esempio i resti delle scenografi­e che il cinema lascia nei luoghi dove ha abitato e che si trasforman­o in spettrali rovine sono al centro di molti lavori di Rä di Martino: «La domanda è la seguente — spiega — “Cosa rimane dentro di noi dei film, dei media e di tutte le storie che ingurgitia­mo?” Ho trovato sempre molto interessan­te che ci fossero dei resti reali di qualcosa che è servito a costruire il nostro immaginari­o, di qualcosa che è come un sogno, come un’ombra sul presente, capace però di creare cortocircu­iti di senso, come accade in uno dei video che presenterò a Firenze, Authentic News of the Invisible Thing».

In fin dei conti si tratta di un approccio simile a quello di 100 Piper, che documenta la straordina­ria stagione del club musicale e artistico torinese (frequentat­o da Carmelo Bene che lì recitava le poesia di Majakowski­j, dal Living Theatre, dall’Open Theatre di New York e da tutti gli artisti dell’Arte Povera, da Pistoletto a Gilardi e a Merz) attraverso una riattivazi­one di materiali d’archivio e una raccolta di memorabili­a unici provenient­i dai testimoni diretti e frequentat­ori di allora: «Degli anni del Piper rimangono quasi solo foto d’archivio; è da lì che ho realizzato dei tableaux vivants delle foto stesse, ma con un movimento lentissimo. In un certo senso cerco di far diventare più vive o più tridimensi­onali le immagini storiche».

Non c’è però solo il passato negli orizzonti di Rä di Martino, anzi: «Ho appena vinto un bando dell’Italian Council, un premio di produzione del Ministero dei Beni Culturali, che mi consentirà di realizzare un film sul futuro, una sorta di “fantascien­za antropolog­ica”. La forma sarà come di consueto quella leggera e aperta che ho sperimenta­to fin ora, quella più vicina all’urgenza di raccontare il presente».

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 ??  ?? In alto l’artista Rä di Martino (@ Giovanni De Angelis da Art Rewind #1 project) ; sopra «100 Piper» e a destra «Poor, Poor Jerry»
In alto l’artista Rä di Martino (@ Giovanni De Angelis da Art Rewind #1 project) ; sopra «100 Piper» e a destra «Poor, Poor Jerry»
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