IL VIZIETTO DI DISTRUGGERE
Secondo una consolidata tradizione, anche l’inizio di quest’anno scolastico è travagliato dalla faticosa ricerca di supplenti per le cattedre vacanti. Un problema che tutti i ministri hanno promesso di risolvere senza riuscirci. Certo è molto più facile governare distruggendo l’opera dei predecessori che non agire sull’esistente cercando di migliorarlo. Se poi un sistema del genere lo si applica alla scuola, le conseguenze possono essere disastrose, perché nulla per la formazione dei giovani è più deleterio della giostra dei docenti a cui spesso sono sottoposti. In questo modo d’intendere il proprio ruolo il nuovo ministro della Pubblica istruzione sembra muoversi benissimo, visto che ha provveduto a eliminare alcuni punti chiave della cosiddetta Buona scuola, probabilmente per trovare consensi in chi, docenti, sindacati e studenti, si era fortemente schierato contro la riforma. Una riforma, quella della legge 107 che, insieme ad aspetti assai discutibili, conteneva però alcune positive novità. Invece il ministro Bussetti ha immediatamente deciso di ridurre in modo drastico le ore dell’alternanza scuola-lavoro, sminuita anche nel nome: «Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento».
Ha inoltre rivisto in gran parte l’esame di Stato e cancellato, a favore del tradizionale concorso a cattedre, il sistema di formazione e reclutamento dei docenti che prevedeva una selezione molto più accurata, con un periodo di prova di durata triennale. E infine ha provveduto a ridimensionare il «potere» dei presidi che non potranno più nominare alcun docente, con conseguente eliminazione dell’organico funzionale, cioè degli insegnanti a disposizione per le esigenze specifiche di ogni scuola. Era un punto innovativo della riforma, rivendicato fin dagli anni settanta del secolo scorso dalle allora avanguardie pedagogiche e sindacali. È questo il principale motivo per cui ancora oggi, dopo la positiva esperienza dello scorso anno, molte classi risultano scoperte, cioè prive di qualche docente. Le nomine sono infatti sottoposte a iter burocratici non del tutto comprensibili anche da chi ha la malasorte di doverli gestire. Si pensi soltanto che alcune supplenze sono di competenza degli uffici scolastici provinciali e altre delle scuole.
Quando a fare le nomine sono quest’ultime, può accadere di dover convocare, per una supplenza anche di pochissimi giorni, centinaia e centinaia di aspiranti, con la conseguenza che le segreterie in questi primi mesi dell’anno sono concentrate quasi esclusivamente su questo ginepraio, aggravato dalla prospettiva di molteplici ricorsi. Per questo Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale dei presidi, propone che a nominare almeno i supplenti siano direttamente i presidi stessi, in modo che tutti i ragazzi possano avere fin dal primo giorno di scuola i loro insegnanti. La nomina avverrebbe tenendo conto del loro curriculum e magari di un colloquio con il dirigente. Scomparirebbe così il principio della sola anzianità di servizio e insieme a quello la desolazione di dover vedere classi intere costrette ad iniziare il loro anno scolastico con due-tre mesi di ritardo rispetto alla norma. Senza contare infine quanta poca fiducia nello Stato si possa trasmettere ai ragazzi quando si rendono conto che questo si presenta loro quasi con rassegnazione.