I TAVOLI DI CASAPOUND E L’INUTILE CERTIFICATO
L’Anpi, per chi non lo sapesse, è un acronimo. Si tratta dell’Associazione nazionale dei partigiani italiani. Ha raccolto in passato coloro che si sono opposti al fascismo e hanno fatto la Resistenza. Ma, per ragioni anagrafiche, costoro si sono ridotti al lumicino.
La cosiddetta patente ha poco a che vedere con la democrazia, impariamo dagli inglesi
E ai giorni nostri si contano a centinaia piuttosto che a migliaia. Perciò di qui a poco la benemerita associazione dovrebbe chiudere i battenti per mancanza d’iscritti. E invece no. Si alimenta di giovani e di meno giovani che la Resistenza nel migliore dei casi l’hanno vista al cinematografo. Non saranno partigiani a pieno titolo, questo no. Ma di parte di sicuro lo sono. Ora l’associazione ha denunciato il fatto che CasaPound ha messo i banchini in piazza a Firenze. Ma i vigili hanno dovuto constatare due cose. Prima di tutto, che CasaPound aveva sottoscritto la cosiddetta patente di antifascismo varata di recente da Palazzo Vecchio. E poi hanno accertato dopo attenta lettura che sui banchini non c’era materiale di propaganda fascista. A CasaPound interessa l’azione sociale, e su questo conta di accrescere i suoi consensi, non sull’esposizione di simboli nostalgici.
Il bello è che l’Anpi e in commovente unità d’intenti la sinistra più o meno estrema hanno sempre dichiarato un giorno sì e l’altro pure che la nostra Costituzione è la più bella del mondo. Costituzionalisti quali siamo, siamo pronti a sottoscrivere l’assunto. Soprattutto per quanto concerne la prima parte, a partire dai diritti fondamentali. Sta di fatto che per molti di costoro la Legge fondamentale della nostra Repubblica è un’illustre sconosciuta. Come le beghine in chiesa, biascicano la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Che, a scanso d’equivoci, non è transitoria. E dice che è vietata la ricostituzione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista. A parte il fatto che i partiti fascisti disciolti sono stati due e non uno, il Pnf e il Partito fascista repubblicano, è legittimo domandarsi se per caso circolano a piede libero sull’intero territorio nazionale centinaia di migliaia di uomini in armi pronti a marciare su Roma e a far risorgere dalle ceneri un fascismo morto e sepolto. Insomma, c’è chi dà la caccia ai fantasmi al fine di celare sotto la maschera dell’antifascismo il proprio volto illiberale. Già, l’antifascismo. Chi ha combattuto un fascismo al potere per le proprie idee, quali che fossero, è degno del massimo rispetto. Sia chiaro. Ma l’unità antifascista ben presto si è sciolta come neve al sole nel dopoguerra. Nel maggio del 1947, ben prima delle elezioni del 18 aprile, fu Alcide De Gasperi a sbarcare dal governo i socialcomunisti. Costoro avevano una tale fiducia nella democrazia liberale che non vedevano l’ora che arrivasse Baffone, il Redentore. E allora sbandierare ancora oggi un antifascismo che ha avuto e ha due volti contrapposti come Giano, significa prendere per i fondelli i gonzi. Ma ormai neppure loro hanno più la sveglia attaccata al collo.
La nostra Repubblica è tutt’altro che perfetta. Ha tanti difetti. Suggestionata dal complesso del tiranno, l’Assemblea costituente non è riuscita a garantire la mitica governabilità. E quello che non hanno fatto i «barbari», lo hanno fatto i Barberini. Ossia i partiti al potere. Ma i titoli d’onore della Repubblica sono soprattutto gli articoli 3 e 21 della sua Costituzione. Ai sensi del primo, tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza — tra l’altro — distinzione di opinioni politiche. In forza del secondo, tutti, italiani e stranieri, hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Ne consegue che la cosiddetta patente antifascista ha ben poco a che vedere con una democrazia liberale. Prendiamo esempio dalla Gran Bretagna. E, come accade all’Hyde Park Corner, allestiamo in ogni località palchetti dove possano dire la loro tutti. Anche coloro, si capisce, che non amano le istituzioni liberali. Si richiamino al fascismo, che ha perso la guerra, o al comunismo, che ha perso la pace. Ideologie ripudiate dalla Storia. Vanno, sì, combattute a viso aperto. Ma con la politica, non con le manette.