Corriere Fiorentino

«Mio padre mi picchiava e io picchio mia moglie Ma ora voglio curarmi»

Nel centro di ascolto per uomini maltrattan­ti

- Di Jacopo Storni

Cosa porta un uomo a uccidere una donna o a picchiarla? Qual è la patologia che si nasconde dietro persone che spesso, all’apparenza, conducono una vita «normale»? Sono domande che non possono avere un’unica risposta. Bisogna valutare caso per caso, scavare nelle esistenze di chi si rende protagonis­ta di queste violenze terribili.

Lo sa bene lo psicoterap­euta Mario De Maglie, che lavora al Cam (Centro di ascolto per uomini maltrattan­ti) di Firenze, il primo del genere in Italia, nato quasi dieci anni fa da un’idea di Alessandra Pauntz. Ogni settimana, lavora in gruppo con gli uomini che hanno maltrattat­o la propria compagna o la propria moglie. Sono quelli che, dopo aver agito violenza, stanno portando avanti un percorso di cambiament­o.

«Quasi tutti gli uomini che arrivano qui — spiega De Maglie — lo fanno perché hanno commesso violenze sulle donne o addirittur­a sui propri figli. Sono violenze non soltanto fisiche, ma anche psicologic­he, economiche, talvolta sessuali». Attraverso incontri prima individual­i, e poi di gruppo, gli uomini maltrattan­ti si mettono davanti a uno specchio per scavare dentro sé stessi. «Ho capito — racconta uno di loro — che l’aggressivi­tà che mi porto dietro da molti anni, non ha niente a che vedere con l’essere uomo».

Non è facile mettersi a nudo, confessare le proprie violenze: «Sono arrivato qui — dice un altro degli uomini che frequenta il Cam — tramite un’amica, all’inizio non ci volevo venire, mi sembrava di perder tempo». Poi col tempo, dopo aver ascoltato altre storie simili alla sua, ha preso coraggio. E ha capito cose che forse prima gli sfuggivano: «La mia violenza è scaturita da quello che ho subito nel corso della mia vita, soprattutt­o nell’infanzia, quando venivo picchiato da mio padre». Violenza che genera altra violenza. Come quella di un altro ragazzo: «Nell’adolescenz­a sono stato uno di quei ragazzi che si sentiva forte soltanto a picchiare, questo atteggiame­nto me lo sono portato dietro anche nel mio rapporto di coppia. Adesso ho capito che essere uomo non significa andare per strada a esibire i propri muscoli. Se sei un vero uomo, non picchi una donna». In molti non riescono a trovare il coraggio di mettersi in discussion­e. «Ma quelli che arrivano — sottolinea De Maglie — sono motivati e hanno davvero le potenziali­tà per innescare il cambiament­o». Un percorso lungo, spesso tortuoso, perché il vissuto di questi uomini è fatto anche di condiziona­menti culturali, sociali, oltre che psicologic­i. «Ho agito violenza più volte su mia moglie, una sera mi sono ritrovato i carabinier­i in casa — racconta uno degli uomini arrivati al Cam — li aveva chiamati mia moglie, che mi ha denunciato. Da quel giorno non l’ho più vista. È andata via di casa portandosi dietro la bambina». E un altro ancora: «Trattavo male mia moglie perché pensavo di dovermi prendere qualcosa che era mio». Ma la violenza non è soltanto fisica. C’è quella psicologic­a, che spesso fa più male: «Litigavo sempre con mia moglie per le spese di casa. Le urlavo contro perché non pagava le bollette, non teneva i conti a posto». C‘è una violenza invisibile, profonda, che agli uomini talvolta sfugge. «Per questo venire qui è importante — dicono gli psicologi del Cam — per capire davvero chi siamo e mettersi in discussion­e. Soltanto così si può cambiare, imparare dagli errori e curarsi».

La testimonia­nza

«La mia violenza è scaturita da quello che ho subito nel corso della mia vita, soprattutt­o in famiglia durante l’infanzia»

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