COSÌ I MIEI STUDENTI HANNO SCOPERTO L’AMICIZIA SILENZIOSA
Caro direttore, l’Itis Galilei di Arezzo è una scuola orgogliosamente tradizionalista. I cambiamenti sono accolti con scetticismo e la retorica dell’innovazione, che alcune scuole adottano per fini pubblicitari, non trova credito. Ma, come sempre avviene ai soggetti refrattari alle mode, quando un cambiamento positivo viene accolto, trova un radicamento profondo. Questo è accaduto, qualche decennio fa, con l’inclusione degli alunni disabili. Oggi, nessuno si gira quando Niccolò, un ragazzo alto e magro, autistico, attraversa il corridoio a falcate, in punta di piedi, quasi correndo. Neppure quando emette suoni che assomigliano a uno stridìo e agita, dall’alto in basso, le lunghe braccia aperte, come se volasse. Niccolò è così, punto. Così, qualche giorno fa, quando è venuto lo scrittore Federico De Rosa, anche lui autistico, nessuno ha dato peso al fatto che si ritraesse dagli sguardi, schermendosi con le braccia sul volto. Oppure che anche lui emettesse gridolini acuti, se disturbato, e che il padre Francesco, secondo un rituale condiviso, gli posasse il pugno sulla spalla destra, per rasserenarlo. Federico, poi, in aula magna, ha iniziato a scrivere, sul computer, le sue risposte alle domande degli alunni. «Ti sei mai sentito diverso?», «Sì. Quando ero piccolo e la vita scorreva davanti ai miei occhi come un film incomprensibile. Diversissimo oltre ogni immaginazione e felice». «Hai dei sogni?», «Il mio sogno è non avere sogni. Vivere una vita libera da ogni aspettativa. Restituite alla vostra vita la sua libertà da voi e lei vi stupirà». Interviene un pediatra: «Cosa posso fare per aiutare le persone che hanno il tuo problema?», «Io non ho nessun problema. Io sono autistico ed è meraviglioso. Per i bimbi autistici che incontri, tieni conto che per noi il vostro mondo è troppo. Troppi stimoli sensoriali, troppe parole inutili ... Tu rallenta e abbassa tutto». Di nuovo, i ragazzi: «Cos’è l’amicizia?», «È il silenzio dell’identico sentire». Tutto scorre lentamente e nessuno si muove. Gli occhi puntano i monitor sui quali compaiono le risposte, lettera dopo lettera. Il tempo è sospeso. Le parole di Federico sono acuminate come un fendente e si rimane tramortiti: sì, un’autentica amicizia può essere silenziosa, nutrendosi di profonda empatia. «Ma — osserva un ragazzo — tu apparivi diverso da come ti presenti adesso». E lui, sornione: «L’apparenza inganna? Anche voi mi apparite inquietanti. La vertigine per la grande distanza umana tra di noi credo sia la stessa per voi e per me». Inutile dire che questo racconto è nato da un incontro realmente accaduto e che i dialoghi riportati sono letterali.