Corriere Fiorentino

CHE RENZI FA (PREVISIONI PD)

- Di Paolo Ermini

Se vincerò io le primarie finirà il Pd delle correnti e dei capibaston­e, ha detto con una certa enfasi Nicola Zingaretti, avviando da Pisa la sua campagna congressua­le per la conquista della segreteria nazionale del partito. L’intento è più che comprensib­ile visto il tasso di rissosità che finora ha corroso il Pd all’interno, facendolo sembrare all’esterno un poligono di tiro per gare di fuoco amico. Un fattore che ha avuto il suo peso, oltre i gravi errori politici, nelle sconfitte di Matteo Renzi e nel disastro elettorale del 4 marzo. Potrà però bastare la buona volontà di Zingaretti a ricomporre una unità non fittizia del Pd, nel caso in cui fosse lui a vincere la corsa? È impossibil­e rispondere sì a freddo, prima ancora che la discussion­e congressua­le entri nel vivo. Peraltro il no al partito delle fazioni è un proposito comune a tutti i concorrent­i per la segreteria. E siccome le candidatur­e sono state avanzate prima che siano emerse le idee portanti che dovrebbero segnare la ripartenza del partito, l’unico vero elemento di distinzion­e tra gli aspiranti segretari sembra essere il maggiore o il minore tasso di renzismo. Uno scenario che rischia di tenere il Pd ancorato a uno schema ormai logoro. Solo un programma forte di breve, medio e lungo periodo, condiviso nella sua ispirazion­e di fondo potrebbe ridare il senso di un’impresa politica credibile e contrastar­e la tentazione dei personalis­mi, di una gestione fine a se stessa del residuo potere (soprattutt­o in periferia), di un’ulteriore guerra di veleni tra potentati. Ma questo obiettivo di fondo non esclude affatto la prospettiv­a di una guida forte, la figura di un leader vero. L’ossessione dell’uomo solo al comando è uno dei lasciti della stagione di Renzi, come se un leader fosse sempre quello che decide tutto per tutti e non colui che esercita un primato riconosciu­to, nel quale gli iscritti e gli esponenti del partito possano riconoscer­si anche nella distinzion­e delle opinioni. Diversamen­te, e fatalmente, torneranno a prevalere le spinte centrifugh­e. E la voglia di far da sé. Cioè l’endemica vocazione scissionis­ta che neppure il Pd, con la sua origine plurale, è riuscito a mandare in archivio. Non solo. Una leadership troppo incline alla collegiali­tà finirebbe solo per mantenere l’ambiguità del ruolo di Renzi in un partito incapace di aprire un capitolo nuovo. Il primo a preoccupar­sene dovrebbe essere lo stesso ex segretario. A meno che lui aspetti solo il momento migliore per passare la porta avviando una nuova esperienza politica.

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