Come sarà la città tra 30 anni? «Conoscenza contro deserto»
«Un tempo Firenze attraeva le eccellenze dell’arte e della scienza, che venivano a imparare, producevano qua. Poi se ne andavano. Dovete tornare a fare questo: la città è troppo “come&go”, gente che viene e se ne va». Jorick Baijer, direttore del think tank olandese «The class of 2020», ha appena finito il suo workshop alla Manifattura Tabacchi facendo immaginare ai 20 presenti come Firenze potrebbe essere una «learning city», una città della formazione e dell’apprendimento. Provare a ragionare su cosa sarà, come sarà, come dovrebbe essere la Firenze del 2050: è questo il senso del colloquio con lui e con gli altri «motivatori» scelti dalla società che trasforma l’ex opificio di piazza Puccini per «Many possible city». Con lui, ci sono Enzo Mansini, di Desis Network, docente di design e innovazione sociale tra Torino, Barcellona, Elisava e la Cina. E Karishma Rafferty della Somerset House, centro artistico londinese.
«Dobbiamo guardare al futuro perché succederanno nuove cose: alcune perché facciamo delle scelte, altre perché non le prendiamo», spiega Mansini, che sta lavorando con la sindaca Ada Colau sull’overtourism a Barcellona. «Stiamo cercando di salvaguardare gli artigiani sulla Ramblas. Quelli rimasti: la spinta dei turisti ha già avuto effetti pesantissimi, dato che in un chilometro e mezzo sono rimaste sono 47 famiglie» spiega Mansini, che però aggiunge: «Il turismo di massa è desertificante. Se in una città resta solo il turismo muore. Al contrario, non si può dire che i turisti non vano bene in assoluto, ma se controlliamo i diversi elementi un turismo di qualità, “ospiti” a casa nostra, può diventare un fattore di arricchimento dell’ecosistema. Porta intelligenza, visione: per far questo, a Barcellona c’è un mix di divieti, come i limiti agli Airbnb, e incentivi, in questo caso agli artigiani. Ma l’equilibrio serve: se gli Airbnb restano “tradizionali”, come un tempo gli agriturismi, cioè sono i residenti che ospitano, è un fattore di vitalità. Se multinazionali comprano appartamenti da usare con Airbnb, è desertificazione».
Rafferty invece ricorda che a Londra «ormai la gente non vive più in centro, non tanto per gli Airbnb ma per i prezzi. E con loro a ruota se ne vanno i negozi, gli asili, i dottori. Ma anche le arti e chi vuole innovare». E questo è un fattore negativo al pari della perdita di residenza: «Anche il modo in cui cambia l’impresa dipende dalla creatività diffusa. Noi proviamo a creare spazi pubblici, a proporli nei luoghi di trasformazione urbana: quando si prendono queste decisioni, le scelte devono coinvolgere imprenditori, la parte pubblica, i residenti ma anche artisti e creativi per creare nuovi modi di vivere la città. Per questo l’esempio della Manifattura Tabacchi è un esempio positivo, dove inventarsi un futuro pezzo di città».
È qualcosa di simile a quello che pensa Baijer. Per far restare una città viva «serve attrarre talenti, farli crescere e mantenerli qua. Tenerli qua è la vera sfida. Molte città hanno questa difficoltà. Firenze è una città del “come&go”, del venire e dell’andare via. Non lo è da ora. Ma un tempo era un centro di produzione, chi veniva qua per imparare restata a lungo». Ed allora, cosa fare perché non se ne vadano? «La questione è: quanti sforzi fai per mantenere qua i talenti? Ci sono un sacco di stranieri che vengono qua a studiare, ma vanno e vengono e il capitale umano è la chiave della crescita. La gente non deve solo venire qua, magari per assorbire l’arte rinascimentale, e andarsene, ma per restare e creare una nuova generazione di artigiani. Ora dobbiamo trasformare gli artigiani tradizionali in artigiani che sanno fare coding (programmazione ndr), prototipi con stampanti 3d, una nuova ecologia del fare digitale». Facile a dirsi, meno a farsi. «È necessario — prosegue Baijer — In Olanda, è un esempio che si può fare, la municipalità di Amsterdam ha aperto un possibilità con una “call” (una sorta di concorso ndr) per nuove università, anche se ce ne erano già due importanti. Si è presentato l’Mit di Boston, con sinergie con le università presenti e con investimenti privati è nato un nuovo ecosistema digitale innovativo». Ma ci sono anche altri strumenti: «Penso alla residenza agevolata per studenti. O ai permessi di soggiorno: se lo concedi solo per il tempo dello studio, il giovane talento se ne andrà appena finito il corso di studi. Se concedi altri due anni di visto, proverà a lavorare e crescere qua. E magari fare qua la sua prima impresa». Che poi, il rapporto con le università è uno dei problemi sollevati proprio nel suo workshop dai partecipanti (architetti, ingegneri, stilisti, studenti): cioè la separazione tra mondo universitario, università straniere e la città vissuta. Insomma, c’è chi già in città ha capito che per essere resilienti, occorre cambiare.
❞ Questa potrebbe tornare ad essere una «learning city», come in passato