DARE, AVERE: UN PO’ DI SOMME
Una delle tesi più ricorrenti dei sovranisti, cioè di coloro che più o meno esplicitamente auspicano l’uscita dell’Italia dall’Euro e dall’Ue (peraltro due cose diverse) è che «l’Italia dà all’Europa più di quanto riceve». Era anche uno dei cavalli di battaglia dei fautori della Brexit nel Regno Unito. Ora si è capito meglio come andrà a finire. La Banca d’Inghilterra ha infatti pubblicato le stime sugli effetti della svolta. A seconda dei vari scenari, dipendenti dal tipo di accordo che sarà portato a termine, l’economia britannica, si contrarrà immediatamente da un minimo del 2% a un massimo dell’8% soltanto nel 2019. Analogamente ripercussioni negative si avranno sulla sterlina, sul valore degli immobili e sulla disoccupazione. Nel lungo periodo le conseguenze saranno ancora negative: lo stesso accordo-compromesso May porterà a una riduzione del Pil del 3,9% in 15 anni. Ai cittadini inglesi non sarà dunque di grande conforto sapere che cesseranno i contributi all’odiato bilancio europeo.
A ogni modo, l’Italia contribuisce effettivamente (dati 2016) al bilancio Ue per circa 14 miliardi di euro —derivanti per lo più da una quota del gettito Iva e da un contributo in proporzione al Pil— a fronte di spese destinate ai Fondi Europei allocati in Italia per circa 11,5 miliardi. Lo squilibrio dipende dunque dal fatto che l’Italia è un paese mediamente ricco, con il reddito pro capite superiore alla media dei paesi Ue, e più sviluppato, almeno al Centro-Nord. Per cui anche tra Stati vale il principio della capacità contributiva. Ma i finanziamenti non sono uniformemente distribuiti in Italia in quanto dipendono dalla loro destinazione. Il 44% va all’Agricoltura (a favore delle aree del Paese a prevalente attività primaria), il 40% alle politiche regionali di sviluppo e coesione (a favore del Mezzogiorno e delle altre aree arretrate), il 12% alla ricerca. I fondi sono gestiti seguendo rigide norme che assicurano lo stretto controllo sul loro utilizzo e la trasparenza della spesa. La responsabilità politica per il corretto utilizzo dei finanziamenti dell’Ue ricade sul collegio dei 28 commissari europei; tuttavia, poiché la maggior parte dei finanziamenti è gestita nei Paesi beneficiari, spetta ai governi nazionali effettuare controlli e audit annuali. Oltre il 76% del bilancio dell’Ue è gestito in collaborazione con le amministrazioni nazionali e regionali, con un sistema di «gestione concorrente».
Quindi il rendimento dei finanziamenti dipende in gran parte dall’efficienza delle Regioni e in questo si deve dire che la Toscana è da sempre tra le più virtuose. Rimanendo alla nostra regione, il calcolo «do più di quanto ricevo» dovrebbe essere equo, ovvero dovrebbe, per esempio, riguardare, tanto i fiorentini, con alto reddito pro-capite e livelli di disoccupazione quasi fisiologici, quanto i cittadini della prevalentemente agricola Provincia di Grosseto o della Provincia di Massa, che ha livelli di disoccupazione non sono dissimili a quelli di alcune aree della Campania.
La rivendicazione sui differenziali tra quanto contribuito e quanto ricevuto (il cosiddetto «residuo fiscale») è alla base di ogni processo secessionista svoltosi nella storia (anche la Lega Nord di Bossi e del professor Miglio la faceva propria), ma spesso questa rivendicazione solo sulla carta si è trasformata in una tragedia nazionale. Come sarebbe un’Italexit.