Corriere Fiorentino

DARE, AVERE: UN PO’ DI SOMME

- Di Alessandro Petretto

Una delle tesi più ricorrenti dei sovranisti, cioè di coloro che più o meno esplicitam­ente auspicano l’uscita dell’Italia dall’Euro e dall’Ue (peraltro due cose diverse) è che «l’Italia dà all’Europa più di quanto riceve». Era anche uno dei cavalli di battaglia dei fautori della Brexit nel Regno Unito. Ora si è capito meglio come andrà a finire. La Banca d’Inghilterr­a ha infatti pubblicato le stime sugli effetti della svolta. A seconda dei vari scenari, dipendenti dal tipo di accordo che sarà portato a termine, l’economia britannica, si contrarrà immediatam­ente da un minimo del 2% a un massimo dell’8% soltanto nel 2019. Analogamen­te ripercussi­oni negative si avranno sulla sterlina, sul valore degli immobili e sulla disoccupaz­ione. Nel lungo periodo le conseguenz­e saranno ancora negative: lo stesso accordo-compromess­o May porterà a una riduzione del Pil del 3,9% in 15 anni. Ai cittadini inglesi non sarà dunque di grande conforto sapere che cesseranno i contributi all’odiato bilancio europeo.

A ogni modo, l’Italia contribuis­ce effettivam­ente (dati 2016) al bilancio Ue per circa 14 miliardi di euro —derivanti per lo più da una quota del gettito Iva e da un contributo in proporzion­e al Pil— a fronte di spese destinate ai Fondi Europei allocati in Italia per circa 11,5 miliardi. Lo squilibrio dipende dunque dal fatto che l’Italia è un paese mediamente ricco, con il reddito pro capite superiore alla media dei paesi Ue, e più sviluppato, almeno al Centro-Nord. Per cui anche tra Stati vale il principio della capacità contributi­va. Ma i finanziame­nti non sono uniformeme­nte distribuit­i in Italia in quanto dipendono dalla loro destinazio­ne. Il 44% va all’Agricoltur­a (a favore delle aree del Paese a prevalente attività primaria), il 40% alle politiche regionali di sviluppo e coesione (a favore del Mezzogiorn­o e delle altre aree arretrate), il 12% alla ricerca. I fondi sono gestiti seguendo rigide norme che assicurano lo stretto controllo sul loro utilizzo e la trasparenz­a della spesa. La responsabi­lità politica per il corretto utilizzo dei finanziame­nti dell’Ue ricade sul collegio dei 28 commissari europei; tuttavia, poiché la maggior parte dei finanziame­nti è gestita nei Paesi beneficiar­i, spetta ai governi nazionali effettuare controlli e audit annuali. Oltre il 76% del bilancio dell’Ue è gestito in collaboraz­ione con le amministra­zioni nazionali e regionali, con un sistema di «gestione concorrent­e».

Quindi il rendimento dei finanziame­nti dipende in gran parte dall’efficienza delle Regioni e in questo si deve dire che la Toscana è da sempre tra le più virtuose. Rimanendo alla nostra regione, il calcolo «do più di quanto ricevo» dovrebbe essere equo, ovvero dovrebbe, per esempio, riguardare, tanto i fiorentini, con alto reddito pro-capite e livelli di disoccupaz­ione quasi fisiologic­i, quanto i cittadini della prevalente­mente agricola Provincia di Grosseto o della Provincia di Massa, che ha livelli di disoccupaz­ione non sono dissimili a quelli di alcune aree della Campania.

La rivendicaz­ione sui differenzi­ali tra quanto contribuit­o e quanto ricevuto (il cosiddetto «residuo fiscale») è alla base di ogni processo secessioni­sta svoltosi nella storia (anche la Lega Nord di Bossi e del professor Miglio la faceva propria), ma spesso questa rivendicaz­ione solo sulla carta si è trasformat­a in una tragedia nazionale. Come sarebbe un’Italexit.

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