«Non cedere al rancore, ma la pace è un diritto»
Il vescovo Manetti: non si deve cedere a rancore e violenza, siamo di fronte a un doppio dramma
La fiaccolata per Fredy. La solidarietà al commerciante e gli slogan di chi non prova nulla per la morte del ladro. Anche la pietà è morta? Risponde il vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza Stefano Manetti che lancia anche un appello: «Non dobbiamo cedere al rancore e alla violenza».
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Fiaccolata per Fredy, qualcuno detta al cronista: «Doveva mirare al corpo del moldavo, non alle sue gambe». Pietà l’è morta?
«In un concorso di persone così vasto ci sta di tutto. L’importante è cogliere il messaggio essenziale: i cittadini vogliono poter vivere in pace e in sicurezza e hanno ragione». Stefano Manetti, 59 anni, fiorentino, ex rettore del seminario di Firenze, da quasi quattro anni è vescovo della diocesi di Montepulciano Chiusi-Pi enza. Uno dei pochissimi vescovi toscani nominati da papa Francesco. Di lui si dice che potrebbe assumere la guida di una diocesi più importante, quella di Siena.
Monte San Savino, che confina con la sua diocesi, si è schierata tutta dalla parte di Fredy, il gommista che ha sparato contro il ladro. «Fredy, uno di noi», è stato lo slogan della fiaccolata. Lei da che parte si schiera?
«Mi schiero dalla parte della realtà, che nel caso specifico chiede di essere ascoltata ed interpretata con attenzione. Siamo di fronte ad un dramma, sia per la morte di una persona, sia per Fredy, il cui atto comunque rimane un peso sulla sua coscienza. Egli ha evidentemente agito con animo comprensibilmente esasperato e, pur mirando alla gambe, l’esito, purtroppo, lo ha sconvolto Per questo è importante che gli facciamo sentire la nostra vicinanza e la manifestazione di venerdì è stato un importante segnale in questo senso».
Che tipo di segnale?
«Che le persone desiderano e chiedono con forza di poter vivere con dignità e pace: un diritto sacrosanto».
Un diritto che spetta allo Stato tutelare, ma c’è chi invoca la legittima difesa e chi teme il far west. Il suo pensiero?
«La dottrina sociale cristiana insegna che difendere il bene comune della società esige che si ponga l’aggressore in stato di non nuocere: questo interpella ovviamente l’autorità pubblica, che ha il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto e, insieme, di creare le condizioni di giustizia sociale che prevengano il sorgere di forme di marginalità».
Lei chiede allo Stato repressione e giustizia sociale. E la società civile? E la Chiesa? «Non c’è dubbio che queste situazioni interpellano anche noi cittadini. Dobbiamo renderci infatti consapevoli che possiamo realmente contribuire a rendere più vivibili le nostre città, facendosi più vicini gli uni agli altri».
In concreto?
«Oltre a una reazione energica dell’autorità pubblica contro la criminalità, penso che occorra mettere in campo i valori più belli di cui la nostra gente è ricca: la solidarietà, la vicinanza, l’impegno per la giustizia, la distinzione tra il peccato e il peccatore, l’offrire vie di integrazione a chi è emarginato. Chiudersi nello scoraggiamento e nel risentimento non può cambiare in meglio la situazione. È l’esperienza stessa che ci insegna che la via perché si realizzi una convivenza pacifica e sicura non è certamente quella del rancore e della violenza».
Lei è vescovo di una delle diocesi più piccole della Toscana, appena 71 mila abitanti, con tanti piccoli paesi come Monte San Savino. I suoi fedeli che cosa le raccontano a proposito della sicurezza? Come vivono il rapporto con gli immigrati?
«Anche da noi ultimamente si registra un aumento dei furti nelle case ma è un fenomeno distinto dal problema degli immigrati».
In che senso?
«I piccoli paesi hanno il vantaggio della vicinanza nei rapporti interpersonali, per cui ci si conosce tutti e si fa presto a conoscere lo straniero che entra a far parte della comunità. Tanto più che la presenza degli immigrati qua è fatta di piccoli gruppi, ben proporzionati rispetto alla popolazione, il che evita la formazione di ghetti razziali. Facilmente, perciò, dal gelo iniziale si passa ben presto a un rapporto umano semplice e diretto, che non ammette “zone d’ombra” e questo aiuta molto l’integrazione dell’immigrato».
Non c’è la paura dello straniero?
«In generale da noi l’integrazione è più facile anche se rimangono comunque timori e diffidenze verso lo straniero, specialmente per chi vive solo in casa e per chi si rifiuta pregiudizialmente di fare conoscenza con esso. Ma, almeno fino ad oggi, prevale la bontà dei rapporti umani».
La Chiesa predica il dovere dell’accoglienza, ma avanza in maniera vistosa, come si è visto anche alle elezioni, la paura e la diffidenza nei confronti dello straniero.
«Accoglienza è un termine ampio che non può limitarsi alla semplice sistemazione in un luogo fisico. Comprende la conoscenza, la creazione di condizioni e percorsi seri di integrazione, soprattutto deve essere una scelta. Accoglienza ormai da noi fa coppia con emergenza, si accoglie subendo il fenomeno anziché gestirlo e questo crea insicurezza nella collettività. Allora gli immigrati si percepiscono come una minaccia». E invece?
«In realtà gli immigrati sono persone che portano da noi i propri talenti, possono costituire una risorsa importante. Dobbiamo riuscire a guardarli negli occhi, conoscerli e decidere consapevolmente di integrarli, rispettando anche le difficoltà di chi accoglie».
Ecco il punto: come coniugare accoglienza e integrazione?
«Papa Francesco al Parlamento europeo parlò di accoglienza controllata, “capace di salvaguardare la dignità di chi viene accolto e al contempo tutelare la popolazione che pratica l’accoglienza”. I corridoi umanitari della Comunità Sant’Egidio secondo me sono esemplari. La non accoglienza è spesso conseguenza della ignoranza mentre è la conoscenza a scacciar via la paura».
Responsabilità La dottrina sociale cristiana insegna che la difesa del bene comune della società esige che si ponga l’aggressore in stato di non nuocere Non solo slogan Mi schiero dalla parte della realtà, che nel caso del corteo per Fredy chiede di essere ascoltata con attenzione e interpretata Valori
Oltre a una energica reazione dell’autorità pubblica ognuno di noi deve mettere in cambio solidarietà, impegno per la giustizia e vicinanza